Proviamo a iniziare una nuova rubrica, che sarà aggiornata nelle rare occasioni in cui riuscirò a vedere un film (ormai tra consorte e bambina guardo quasi esclusivamente telefilm da diversi anni a questa parte). Con notevole ritardo, ieri ho visto il terzo capitolo della saga di Iron Man sullo schermo, trovandolo a tratti francamente piuttosto noioso, ma nel complesso vedibile.
Tra i punti positivi del film la buona interpretazione di Robert Downey Junior nel ruolo di Tony Stark, personaggio cui ha dotato un fascino particolare che rende abbastanza il fumetto (almeno per come lo ricordo io!!!! Non credo di aver letto nuove storie di Iron Man su fumetto dai tardi anni Settanta...), aggiornandolo ai tempi e alle mode. Alcune scene di azione sono notevoli (la distruzione della casa di Stark sul promontorio, il combattimento finale sulla petroliera dismessa con le decine di armature impegnate...), la trama francamente scarsa (ci voleva anche l'incontro con il bambino che - non so esattamente perché - mi ha ricordato l'incontro dello sceriffo Bud Spencer con il piccolo alieno di "Chissà perché capitano tutte a me").
Deludente lo svilimento di quello che ricordo come il miglior nemico di Iron Man dei tempi d'oro (e uno dei grandi villain della Marvel delle origini), il Mandarino, ridotto a una controfigura di Bin Laden (che poi si rivela in effetti figura di facciata!!), e pessimo francamente il ruolo di villain reale di Guy Pearce, lontano anni luce dai tempi di "Memento".
In sostanza, devo recuperare parecchi film marveliani degli ultimi 5/6 anni per rimettermi in pari, ma questo Iron Man 3 mi ha lasciato un po' di amaro in bocca, dopo che specialmente il primo film mi era piaciuto parecchio (un po' meno il secondo), nonostante le mie remore sul personaggio (da sempre uno di quelli che piacciono meno del corposo universo creato da Stan Lee e compagnia).
Nelle prossime settimane cercherò di sondare quello che viene ritenuto il miglior film super-eroistico di sempre: The Avengers di Whedon. Vedremo...
lunedì 31 marzo 2014
martedì 18 marzo 2014
Visioni marzoline
Era un po' che non parlavo più di telefilm su queste pagine, quindi ecco un breve post riassuntivo.
Visto ieri il pilot della versione americana di Les Revenants, interessante serie francese, che ho però abbandonato dopo una puntata (per ragioni varie, principalmente, perché vedere una serie pur con i sottotitoli in una lingua che non riesci a seguire decentemente, francamente non mi diverte). Dal momento che gli americani non buttano via nulla, eccone la versione ammerigana, che inizialmente mi sembra però abbastanza dissimile. Per chi non la conosce la serie originale vedeva una ragazzina tornare tranquillamente a casa dai genitori, ignara di essere stata data per morta quando il suo pullman scolastico era finito nell'invaso di una diga parecchi anni prima. Nella versione USA, abbiamo invece un ragazzino che si sveglia in una risaia cinese, per poi scoprire, attraverso un agente dell'immigrazione (interpretato da Omar Epps, ex assistente di House nell'omonima serie), che in realtà il bambino è morto annegato in un fiume del Missouri 32 anni prima. Il suo ritorno a casa provoca ovviamente sconcerto e inizia a scoperchiare segreti che dovevano restare sepolti (e apre la strada al ritorno di altri "morti"). Vedremo come si sviluppa, per adesso è abbastanza intrigante e sufficientemente diverso dall'originale francese (almeno per quello che avevo visto), da potersi godere senza problemi. Buono il cast, con diverse facce note, viste un po' dovunque nelle serie televisive più disparate (da 70 show a NCIS, passando per Sleepy Hollow).
Divertente, soprattutto per l'azzeccatissima figura del capo ufficio "hitleriano", la nuova sitcom del Jack di Will & Grace. Sean saves the World lo vede padre gay di una giovane adolescente, impiegato di un'agenzia di vendite telefoniche, con colleghi strampalati e una madre (la "Alice" dell'omonimo telefilm anni Settanta/Ottanta) che lo martirizza. E' una sitcom alla fine simile a molte altre, con qualche battuta divertente, altre meno, ma il capo ufficio con i baffetti stile Fuhrer e il comportamento che ricorda quello di Marvin il robot della Guida Galattica a risultare divertentissimo. Vale la pena guardarne qualche puntata solo per lui. La serie è già stata tagliata dall'audience americana dopo una dozzina di puntata. Peccato perché sopravvivono cose molto peggiori...
Visto ieri il pilot della versione americana di Les Revenants, interessante serie francese, che ho però abbandonato dopo una puntata (per ragioni varie, principalmente, perché vedere una serie pur con i sottotitoli in una lingua che non riesci a seguire decentemente, francamente non mi diverte). Dal momento che gli americani non buttano via nulla, eccone la versione ammerigana, che inizialmente mi sembra però abbastanza dissimile. Per chi non la conosce la serie originale vedeva una ragazzina tornare tranquillamente a casa dai genitori, ignara di essere stata data per morta quando il suo pullman scolastico era finito nell'invaso di una diga parecchi anni prima. Nella versione USA, abbiamo invece un ragazzino che si sveglia in una risaia cinese, per poi scoprire, attraverso un agente dell'immigrazione (interpretato da Omar Epps, ex assistente di House nell'omonima serie), che in realtà il bambino è morto annegato in un fiume del Missouri 32 anni prima. Il suo ritorno a casa provoca ovviamente sconcerto e inizia a scoperchiare segreti che dovevano restare sepolti (e apre la strada al ritorno di altri "morti"). Vedremo come si sviluppa, per adesso è abbastanza intrigante e sufficientemente diverso dall'originale francese (almeno per quello che avevo visto), da potersi godere senza problemi. Buono il cast, con diverse facce note, viste un po' dovunque nelle serie televisive più disparate (da 70 show a NCIS, passando per Sleepy Hollow).
Divertente, soprattutto per l'azzeccatissima figura del capo ufficio "hitleriano", la nuova sitcom del Jack di Will & Grace. Sean saves the World lo vede padre gay di una giovane adolescente, impiegato di un'agenzia di vendite telefoniche, con colleghi strampalati e una madre (la "Alice" dell'omonimo telefilm anni Settanta/Ottanta) che lo martirizza. E' una sitcom alla fine simile a molte altre, con qualche battuta divertente, altre meno, ma il capo ufficio con i baffetti stile Fuhrer e il comportamento che ricorda quello di Marvin il robot della Guida Galattica a risultare divertentissimo. Vale la pena guardarne qualche puntata solo per lui. La serie è già stata tagliata dall'audience americana dopo una dozzina di puntata. Peccato perché sopravvivono cose molto peggiori...
domenica 9 marzo 2014
Un pulp al giorno: Passport to the Grave e The All american ace
Chiudiamo l'esame del primo numero della seconda serie di Battle Birds con due racconti piuttosto deludenti: il primo, Passport to the Grave, del praticamente ignoto Rupert P.Chandler, è ancora una volta una sequenza di stereotipi, con un traditore inglese nel mezzo di una squadriglia multinazionale di elite, svelato dal solito scavezzacollo yankee, che ruba perfino un Albatross a un asso tedesco e lo abbatte al termine di un lungo duello.
Perfino minore l'altro, The All american ace, dell'altrettanto ignoto Metteau Miles, su di un all american di football, baseball e pugilato, estremamente fortunato in battaglia e non solo, e come tale propenso ad azioni individuali fuori dai comandi ricevuti, che rischia di abbattere il suo miglior amico (ritenuto abbattuto in terra di nessuno, e morto nell'impatto, che invece è fuggito dalla prigionia tedesca e sta rientrando alla base su di un aereo nemico), e capisce come sia meglio dare ascolto ai superiori.
Molto interessante si rivela invece l'editoriale conclusivo della rivista, che ancora una volta offre uno spaccato della vita dell'epoca e in particolare di come gli Americani sul finire del 1939 vedevano l'andamento del conflitto europeo, ancora nelle sue primissime fasi. Vi si sente tutto l'orgoglio anche un po' smargiasso degli Yankee, ma anche un'autentica preoccupazione per la guerra che, già si sentiva, avrebbe finito per coinvolgere anche loro. Significativa, però, la totale mancanza di riferimento ai Giapponesi e anche una qual certa distanza dal conflitto europeo, senza alcun accenno al Nazismo e al Male assoluto, così come un totale tacere sulla Russia.
Speriamo di avere presto altro materiale del genere, per continuare con passione questa nostra rubrica
Perfino minore l'altro, The All american ace, dell'altrettanto ignoto Metteau Miles, su di un all american di football, baseball e pugilato, estremamente fortunato in battaglia e non solo, e come tale propenso ad azioni individuali fuori dai comandi ricevuti, che rischia di abbattere il suo miglior amico (ritenuto abbattuto in terra di nessuno, e morto nell'impatto, che invece è fuggito dalla prigionia tedesca e sta rientrando alla base su di un aereo nemico), e capisce come sia meglio dare ascolto ai superiori.
Molto interessante si rivela invece l'editoriale conclusivo della rivista, che ancora una volta offre uno spaccato della vita dell'epoca e in particolare di come gli Americani sul finire del 1939 vedevano l'andamento del conflitto europeo, ancora nelle sue primissime fasi. Vi si sente tutto l'orgoglio anche un po' smargiasso degli Yankee, ma anche un'autentica preoccupazione per la guerra che, già si sentiva, avrebbe finito per coinvolgere anche loro. Significativa, però, la totale mancanza di riferimento ai Giapponesi e anche una qual certa distanza dal conflitto europeo, senza alcun accenno al Nazismo e al Male assoluto, così come un totale tacere sulla Russia.
Speriamo di avere presto altro materiale del genere, per continuare con passione questa nostra rubrica
giovedì 6 marzo 2014
Un pulp al giorno: The Valley of the Green Death
Ci stiamo avvicinando alla conclusione del primo numero della seconda serie di Battle Birds con un altro racconto aviatorio a firma Harold F.Cruickshank, un pulper molto attivo in vari campi nel periodo in esame, ma per tantissimi anni legato in particolare ai racconti di guerra (in particolare su Battle Stories e War Stories sul finire degli anni Venti).
Il racconto in esame è un altro classico della narrativa pulp americana: pilota conosciuto per la ricerca della gloria a tutti i costi, giovane testa calda che vuole vendicare il fratello caduto, pare, per colpa del suddetto cacciatore di gloria, scienziato tedesco al contempo celebre asso dell'aviazione che inventa un gas capace di uccidere i piloti, scoperta che il cacciatore di gloria in realtà è un individuo teso soltanto al successo della propria nazione, perdono del testa calda, perché in realtà il fratello è morto per colpe proprie, anzi l'altro lo ha perfino aiutato ad andarsene senza venire riempito di vergogna.
Se la miscela è questa e gli ingredienti sono sempre i soliti, Cruickshank è cuoco sufficientemente abile da tirarne fuori una buona torta, forse non squisita e indimenticabile, ma certamente mangiabile fino in fondo.
Il difetto principale che si può trovare a questo, come a tanti altri racconti del periodo, è l'essere troppe volte costretti in spazi molto limitati, meno di una dozzina di pagine, e questa limitazione forza gli autori all'uso di stereotipi, senza particolari approfondimenti di personaggi o di trama. Noto questa limitazione in particolare in questo tipo di narrativa, avendola trovata molto meno nelle precedenti letture horror e ancor meno in quelle mystery o noir, dove la varietà della trama rende meno visibili questi stilemi.
Ma anche questo sono i pulp e noi continuiamo ad amarli sempre di più.
Il racconto in esame è un altro classico della narrativa pulp americana: pilota conosciuto per la ricerca della gloria a tutti i costi, giovane testa calda che vuole vendicare il fratello caduto, pare, per colpa del suddetto cacciatore di gloria, scienziato tedesco al contempo celebre asso dell'aviazione che inventa un gas capace di uccidere i piloti, scoperta che il cacciatore di gloria in realtà è un individuo teso soltanto al successo della propria nazione, perdono del testa calda, perché in realtà il fratello è morto per colpe proprie, anzi l'altro lo ha perfino aiutato ad andarsene senza venire riempito di vergogna.
Se la miscela è questa e gli ingredienti sono sempre i soliti, Cruickshank è cuoco sufficientemente abile da tirarne fuori una buona torta, forse non squisita e indimenticabile, ma certamente mangiabile fino in fondo.
Il difetto principale che si può trovare a questo, come a tanti altri racconti del periodo, è l'essere troppe volte costretti in spazi molto limitati, meno di una dozzina di pagine, e questa limitazione forza gli autori all'uso di stereotipi, senza particolari approfondimenti di personaggi o di trama. Noto questa limitazione in particolare in questo tipo di narrativa, avendola trovata molto meno nelle precedenti letture horror e ancor meno in quelle mystery o noir, dove la varietà della trama rende meno visibili questi stilemi.
Ma anche questo sono i pulp e noi continuiamo ad amarli sempre di più.
mercoledì 5 marzo 2014
Un pulp al giorno: Eagles fly alone
Per il racconto di oggi, eccoci arrivare all'incontro con uno dei più famosi autori di racconti aviatori dell'epoca dei pulp, il "nostro" Orlando Rigoni, prolifico e valido scrittore di storie di guerra e western nella sua più che trentennale carriera.
Il racconto in esame, "Eagles fly alone", è il migliore di quelli incontrati finora su questa rivista: vi si raccontano le vicende di un gruppo di straordinari piloti americani composto da reietti, tanto abili quanto ingovernabili, che si trovano improvvisamente costretti loro malgrado a cedere alle innovazioni tattiche del combattimento aereo dell'ultimo periodo del primo conflitto mondiale.
Rigoni è molto abile nella descrizione delle battaglie e nella caratterizzazione dei personaggi (stereotipi, se vogliamo, ma dotati di un certo qual gusto tarantiniano ante litteram) e se il racconto, con il consueto lieto fine, può sembrare in fondo fin troppo sdolcinato, possiede un fascino innegabile e numerosi passaggi di narrativa di combattimento di ottimo livello (particolarmente azzeccata, per esempio, per un amante della narrativa orrorifica, la descrizione della fine dell'asso tedesco Von Groeten che si copre il volto con la mano per evitare la salva di traccianti che arrivano dallo Spad nemico, e l'arto viene praticamente disintegrato dai proiettili e il viso che cercava inutilmente di proteggere viene ridotto a una poltiglia sanguinosa).
Speriamo che i restanti racconti della rivista tengano il passo di quest'ultimo, capace di risollevare il pulp dai troppi stilemi visti e rivisti che avevano caratterizzato i racconti precedenti,
Il racconto in esame, "Eagles fly alone", è il migliore di quelli incontrati finora su questa rivista: vi si raccontano le vicende di un gruppo di straordinari piloti americani composto da reietti, tanto abili quanto ingovernabili, che si trovano improvvisamente costretti loro malgrado a cedere alle innovazioni tattiche del combattimento aereo dell'ultimo periodo del primo conflitto mondiale.
Rigoni è molto abile nella descrizione delle battaglie e nella caratterizzazione dei personaggi (stereotipi, se vogliamo, ma dotati di un certo qual gusto tarantiniano ante litteram) e se il racconto, con il consueto lieto fine, può sembrare in fondo fin troppo sdolcinato, possiede un fascino innegabile e numerosi passaggi di narrativa di combattimento di ottimo livello (particolarmente azzeccata, per esempio, per un amante della narrativa orrorifica, la descrizione della fine dell'asso tedesco Von Groeten che si copre il volto con la mano per evitare la salva di traccianti che arrivano dallo Spad nemico, e l'arto viene praticamente disintegrato dai proiettili e il viso che cercava inutilmente di proteggere viene ridotto a una poltiglia sanguinosa).
Speriamo che i restanti racconti della rivista tengano il passo di quest'ultimo, capace di risollevare il pulp dai troppi stilemi visti e rivisti che avevano caratterizzato i racconti precedenti,
martedì 4 marzo 2014
Un pulp al giorno: The Ghost rides West
Terzo appuntamento giornaliero con le avventure di guerra aerea tratte dal primo numero della seconda serie di Battle Birds, del febbraio 1940. L'autore del racconto è Moran Tudury, misconosciuto scrittore pulp attivo nel periodo 1928-1942, autore però di una miriade di racconti sportivi, stando a quanto si ricava dalla Rete. Il breve racconto in esame è l'ennesima variante di idee che oggi francamente sembrano perfino banali: il "Ghost" del titolo è un asso dell'aviazione tedesca, il cui Fokker è ornato di una coppia di teschi bianchi e neri e che sembra capace di risorgere ogni volta dalle ceneri, visto che sembra abbattutto a ogni missione e puntualmente ritorno dall'inferno per mietere morte nei cieli delle Fiandre. Un pilota americano della squadriglia Lafayette lo abbatte, finisce a sua volta abbattuto e poi in un campo di prigionia, dove riceve la visita proprio dell'asso tedesco che lo deride. Ma il crucco commette un errore e Slattery - questo il nome del texano - fugge dal campo, torna dai suoi e vola nuovamente nei cieli in cerca della fantasmatica preda. Ha scoperto come quel pilota sembra invincibile: non vola sull'aereo dotato dei teschi che ogni volta viene abbattuto - al prezzo però di numerosi aerei alleati. Lui si trova in retroguardia, protetto dalla formazione, colpisce in fondo e non rischia mai. Ovviamente Slattery avrà la meglio e il Fantasma volerà verso ovest per non tornare più.
Che altro dire? Già al terzo racconto un pulp aviatorio inizia a stancare: i duelli sono sempre gli stessi, gli stilemi anche, lo spazio di poche pagine non consente una grossa caratterizzazione dei personaggi, manca il sense of wonder che altri pulp possedevano. Resta una lettura fattibile, ma soffre più di altri, forse, il passare del tempo.
Che altro dire? Già al terzo racconto un pulp aviatorio inizia a stancare: i duelli sono sempre gli stessi, gli stilemi anche, lo spazio di poche pagine non consente una grossa caratterizzazione dei personaggi, manca il sense of wonder che altri pulp possedevano. Resta una lettura fattibile, ma soffre più di altri, forse, il passare del tempo.
Un pulp al giorno: Bullets for the Brave
Continuiamo la nostra disamina del primo numero della seconda serie del pulp aviatorio "Battle Birds", con un racconto del poi celebrato giallista David Goodis, che iniziò la sua carriera come autore pulp tout court, particolarmente attivo nel campo aviatorio, appunto.
Questo "Bullets for the brave" possiede tutti gli stilemi del classico racconto pulp "all'inferno e ritorno", con le vicende di un giovane asso dell'aviazione americana, Cal Berry, che dopo essere stato abbattuto da un pilota tedesco, fatica a ritrovare il coraggio di affrontare e cieli e vieni dipinto come vigliacco. Tornato in aria e nuovamente abbattuto in un epico duello, finisce in mezzo alla terra di nessuno, viene catturato dai tedeschi, ruba l'uniforme di un ufficiale tedesco dopo un bombardamento, torna nelle proprie linee, viene accusato di tentata diserzione e condannato al carcere a vita. Prima di venir tradotto sulla nave che dovrebbe riportarlo in patria, fugge, recupera un aereo e sventa una minaccia tedesca, abbattendo perfino il pilota che lo aveva tirato giù dal cielo la prima volta. Si salverà e avrà ripristinato l'onore.
Perfino banale nella sua classica costruzione, il racconto è comunque ben scritto, con un qual certo gusto macabro nelle descrizioni delle morti in trincea e una buona competenza nella narrazione dei duelli aerei, e si nota la stoffa di un autore poi ben conosciuto anche nel nostro Paese (molti dei suoi romanzi gialli sono apparsi sulle collane gialle della Mondadori)
Questo "Bullets for the brave" possiede tutti gli stilemi del classico racconto pulp "all'inferno e ritorno", con le vicende di un giovane asso dell'aviazione americana, Cal Berry, che dopo essere stato abbattuto da un pilota tedesco, fatica a ritrovare il coraggio di affrontare e cieli e vieni dipinto come vigliacco. Tornato in aria e nuovamente abbattuto in un epico duello, finisce in mezzo alla terra di nessuno, viene catturato dai tedeschi, ruba l'uniforme di un ufficiale tedesco dopo un bombardamento, torna nelle proprie linee, viene accusato di tentata diserzione e condannato al carcere a vita. Prima di venir tradotto sulla nave che dovrebbe riportarlo in patria, fugge, recupera un aereo e sventa una minaccia tedesca, abbattendo perfino il pilota che lo aveva tirato giù dal cielo la prima volta. Si salverà e avrà ripristinato l'onore.
Perfino banale nella sua classica costruzione, il racconto è comunque ben scritto, con un qual certo gusto macabro nelle descrizioni delle morti in trincea e una buona competenza nella narrazione dei duelli aerei, e si nota la stoffa di un autore poi ben conosciuto anche nel nostro Paese (molti dei suoi romanzi gialli sono apparsi sulle collane gialle della Mondadori)
domenica 2 marzo 2014
Un pulp al giorno: Last Flight of the Damned
Finalmente riapre questa rubrica, grazie a un nuovo pulp inviatomi da Radioarchive per il proofreading.
Si tratta del numero 1 della seconda serie di Battle Birds, datato 1940, uno dei numerosi pulp aviatori che imperversarono nelle edicole americane fra la fine degli anni Venti e la prima metà dei Trenta, che ebbero una breve ripresa durante il secondo conflitto mondiale, adattando gli argomenti - in precedenza quasi esclusivamente limitati alla Prima Guerra Mondiale - al nuovo scenario planetario in corso di mutamento.
In questo primo numero, le storie sono ancora legate al conflitto sulle trincee e in generale al temporalmente breve intervento statunitense nel medesimo.
Il racconto di oggi è scritto da una delle firme di punta del genere, Robert Sidny Bowen, ed un classico del modo di fare narrativa dei pulp non di primo livello: scrittura scialba e forse neppure riletta, idea generalmente derivativa, capacità affabulatoria limitata ma ben inserita in un contesto standard capace di richiamare lettori. Si tratta di caratteristiche comuni, se ci pensiamo bene, a buona parte dei telefilm odierni.
Comunque sia, il racconto in esame racconta le vicende di un coraggioso - e come altrimenti? - capitano dell'aviazione americana che si trova coinvolto contro l'ultimo ritrovato della scienza militare teutonica, una sorta di raggio laser ante litteram, capace di schiantare in volo numerosi aerei alleati. Trovatosi di fronte al consueto scienziato pazzo e al solito cavalleresco rivale tedesco su Fokker bianco e arancione (una bella livrea, in effetti), il nostro eroe scoprirà la base nascosta da dove opera il curioso marchingegno (praticamente come quando in un gioco di ruolo il GM mette una gomma sopra il punto della mappa che non vuole si esplori) e dopo alcune improbabili peripezie, avrà la meglio. Tutto molto scontato e tutto in realtà piuttosto mal scritto, tanto che mi meraviglio non poco del successo del suo autore, brillante soltanto in alcuni passaggi di combattimento aereo (che d'altra parte devono essere il pezzo forte di un tale prodotto narrativo).
Nonostante questi limiti, oggi assolutamente visibili e non scusabili, il racconto si lascia leggere sino in fondo, pur nella sua scontata banalità, perché possiede - e si sente ancora oggi, invece - tutto il fascino della narrativa pulp e ne rappresenta un esempio medio assolutamente in linea con il tenore del genere in esame.
Nei prossimi giorni vedremo cos'altro ha da offrire questo numero di Battle Birds.
Si tratta del numero 1 della seconda serie di Battle Birds, datato 1940, uno dei numerosi pulp aviatori che imperversarono nelle edicole americane fra la fine degli anni Venti e la prima metà dei Trenta, che ebbero una breve ripresa durante il secondo conflitto mondiale, adattando gli argomenti - in precedenza quasi esclusivamente limitati alla Prima Guerra Mondiale - al nuovo scenario planetario in corso di mutamento.
In questo primo numero, le storie sono ancora legate al conflitto sulle trincee e in generale al temporalmente breve intervento statunitense nel medesimo.
Il racconto di oggi è scritto da una delle firme di punta del genere, Robert Sidny Bowen, ed un classico del modo di fare narrativa dei pulp non di primo livello: scrittura scialba e forse neppure riletta, idea generalmente derivativa, capacità affabulatoria limitata ma ben inserita in un contesto standard capace di richiamare lettori. Si tratta di caratteristiche comuni, se ci pensiamo bene, a buona parte dei telefilm odierni.
Comunque sia, il racconto in esame racconta le vicende di un coraggioso - e come altrimenti? - capitano dell'aviazione americana che si trova coinvolto contro l'ultimo ritrovato della scienza militare teutonica, una sorta di raggio laser ante litteram, capace di schiantare in volo numerosi aerei alleati. Trovatosi di fronte al consueto scienziato pazzo e al solito cavalleresco rivale tedesco su Fokker bianco e arancione (una bella livrea, in effetti), il nostro eroe scoprirà la base nascosta da dove opera il curioso marchingegno (praticamente come quando in un gioco di ruolo il GM mette una gomma sopra il punto della mappa che non vuole si esplori) e dopo alcune improbabili peripezie, avrà la meglio. Tutto molto scontato e tutto in realtà piuttosto mal scritto, tanto che mi meraviglio non poco del successo del suo autore, brillante soltanto in alcuni passaggi di combattimento aereo (che d'altra parte devono essere il pezzo forte di un tale prodotto narrativo).
Nonostante questi limiti, oggi assolutamente visibili e non scusabili, il racconto si lascia leggere sino in fondo, pur nella sua scontata banalità, perché possiede - e si sente ancora oggi, invece - tutto il fascino della narrativa pulp e ne rappresenta un esempio medio assolutamente in linea con il tenore del genere in esame.
Nei prossimi giorni vedremo cos'altro ha da offrire questo numero di Battle Birds.
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