Per la seconda edizione del due volte premiato Mondi Paralleli ho visto in questi ultimi giorni due film che mi erano - fortunatamente - sfuggiti nel corso del tempo.
Il primo, Anno 1345 - l'impossibile crociata, l'avevo sempre evitato, nonostante risalga al 1994 (periodo in cui ancora vedevo centinaia di film all'anno... si avete letto, bene, centinaia), perché la sola presenza di Roland Emmerich come produttore esecutivo mi aveva convinto che dietro un ottimo romanzo di Poul Anderson, uno dei miei preferiti di uno dei grandi maestri della fantascienza anni Sessanta, potesse esserci una versione cinematografico da urlo... di disperazione. Ero stato fin troppo buono: il film è una farsaccia sguaiata, che fin dalle primissimi battute scopiazza in modo infingardo Monty Python e il sacro graal e riduce l'avventura di un gruppo di cavalieri medievali inglesi venuti in possesso di un'astronave aliena e di parte del suo equipaggio di invasori a un'inguardabile boiata, che coinvolge anche attori altrimenti molto apprezzati, come John Rhys Davies.
Dal romanzo di Anderson il film tedesco - ma con cast anglofono - riprende la trama di base, ma la snatura completamente, rendendo farsa becera quello che nel romanzo è sottile umorismo. Da evitare come la peste (dalla quale in linea di massima si può anche guarire, da questo ne dubito).
Altro "gioiellino" sfuggito al mio terribile scrutinio (ma essendo il film del 2009 ed avendo ridotto a quell'epoca la visione annuale di film a meno di una decina, la cosa era meno grave) era poi Princess of Mars, produzione che definire low budget è un eufemismo, e che ha come unico merito - se così si può dire - quello di essere stata la prima a recuperare per lo schermo una delle pietre miliari della fantascienza delle origini, le avventure del capitano confederato John Carter sul rosso pianeta marziano, Barsoom per i locali. Bene: in questo caso il capitano confederato è diventato un soldato delle truppe speciali in Afghanistan, che, rimasto gravemente ferito in una trappola, viene mandato da dei cinici ufficiali statunitensi su Marte attraverso il teletrasporto e, una volta giuntovi e capito che grazie alla minore gravità del pianetà è capace di imprese sovraumane quanto a forza e agilità, si trova in mezzo a un gruppo di Tharkis - qui raffigurati come una via di mezzo fra truppe di Mongo e una versione a basso costo di Predator, oppure anche all'alieno de Il mio nemico, quanto a iconografia - e vivrà straordinarie (diciamo così) avventure conoscendo anche la bellissima Dejah Thoris, principessa marziana (affidata all'ex pornodiva Tracy Lords, ormai piuttosto in là con gli anni per essere una principessa credibile). L'improbabile eroe terrestre è invece interpretato nientepopodimeno che da Antonio Sabato jr., e credo che questo possa bastare. E' talmente orrendo da sembrare una produzione di Ed Wood o comunque un film anni Sessanta, non certo qualcosa del nuovo millennio.
Dopo aver sprecato così due/tre ore della mia vita (il fast forward ha comunque imperato durante buona parte delle visioni), non mi pento di aver abbandonato le visioni "a strascico" operate in una diversa fase della mia esistenza.
Alla prossima!
mercoledì 31 luglio 2013
domenica 21 luglio 2013
The Hobbit: an unexpected movie...
So di giungere tardissimo a parlare di un film che ormai gira già anche in televisione, ma come certo saprete, ormai non sono più il "divoratore" di pellicole che ero un tempo (quando ero in grado di recensire - pro domo mea, ma da qualche parte le ho quasi tutte - fino a 35-40 pellicole in un mese - ah, bei tempi, per il Roger Ebert in me) ed è grassa se riesco a vedere 4-5 film in un anno (ma non temete: i nuovi impegni "saggistici" mi spingeranno per forza a riprendere un po' di visioni più lunghe dei telefilm che vado divorando negli ultimi 5/6 anni).
Comunque, bando alle ciance: ieri sono riuscito a vedere lo Hobbit e, come si evince dal titolo di questo post, ne sono rimasto piacevolmente sorpreso. Ora: rispetto a molti dei miei lettori, avevo il vantaggio di avvicinarmi alla pellicola con occhio meno critico e ossequio meno rigido al canone del Maestro Tolkien. Adoro Jackson e le tre pellicole sul Signore degli Anelli erano quanto di meglio fosse mai successo alla narrativa fantasy sullo schermo (grande e piccolo) prima di Game of Thrones. D'altro canto, non sono certo un purista dell'opera di Tolkien: per ragioni eminentemente ludiche, conosco molto bene il suo mondo, la sua storia e la sua geografia (per averlo girato in lungo e in largo per oltre un trentennio prima nel gioco di ruolo, poi nel gioco postale della Terra di Mezzo), ma non ho mai amato in modo eccessivo e viscerale i suoi romanzi (meno che mai lo Hobbit, letto tantissimi anni fa e sempre ritenuto niente più che un romanzo per ragazzi - considero alla stessa stregua Harry Potter, per esempio, ma questo non significa che a suo modo non possano (debbano?) essere considerati dei capolavori). Di conseguenza, il fatto che Jackson abbia completamente stravolto il plot e lo sviluppo narrativo dello Hobbit cartaceo non mi tocca se non marginalmente. Mi tocca molto di più che ne abbia ricavato una prima pellicola a mio avviso perfino superiore al primo capitolo del Signore degli Anelli (sicuramente più dinamica e spettacolare), con un grandissimo Bilbo Baggins (Freeman è uno straordinario Watson - e se Dio vuole, pare che avremo una terza e perfino una quarta serie dello splendido Sherlock della BBC - ma è perfino un miglior Bilbo Baggins), una compagnia di nani assolutamente diversa da come me l'ero immaginata (ho degli amici che credo si siano messi a piangere per la disperazione - almeno inizialmente - dopo la prima apparizione di Balin...), ma che nel giro di pochi minuti ti entra nel sangue, un Radagast allegramente sconcertante (e piacevolissimo da vedere), il ritrovare tanti "amici" della prima trilogia, che senza dubbio è piacevole rivedere.
Ho poi apprezzato molto il fatto che il film (e non il romanzo) sia diventato un vero e proprio prequel della trilogia cinematografica, dando modo a Jackson di proseguire nella narrazione (in questo caso a priori) della sua "visione" storica della Terra di Mezzo, con una profondità e una cura dei particolari che ovviamente Tolkien non ha potuto fare, vista le genesi delle sue opere.
Certo, ci sono degli eccessi, alcuni tasti sono toccati con troppa energia, alcune caratterizzazioni possono far storcere la bocca anche a chi è appena appena purista (gli integralisti di Tolkien immagino abbiano preso torce e forconi e si siano recati al castello di Jackson per incenerire lo scienziato pazzo e le sue creature partorite dalla folgore del demonio), ma nel complesso ho trovato la nuova incursione nella Terra di Mezzo di gran lunga superiore a ogni mia aspettativa (molto modesta in verità - ed è anche per questo che finora avevo snobbato il film) e adesso non vedo l'ora di scoprire quali altre "fantasie" aggiungerà alla trama il folletto oceanico nei prossimi due capitoli della saga.
Comunque, bando alle ciance: ieri sono riuscito a vedere lo Hobbit e, come si evince dal titolo di questo post, ne sono rimasto piacevolmente sorpreso. Ora: rispetto a molti dei miei lettori, avevo il vantaggio di avvicinarmi alla pellicola con occhio meno critico e ossequio meno rigido al canone del Maestro Tolkien. Adoro Jackson e le tre pellicole sul Signore degli Anelli erano quanto di meglio fosse mai successo alla narrativa fantasy sullo schermo (grande e piccolo) prima di Game of Thrones. D'altro canto, non sono certo un purista dell'opera di Tolkien: per ragioni eminentemente ludiche, conosco molto bene il suo mondo, la sua storia e la sua geografia (per averlo girato in lungo e in largo per oltre un trentennio prima nel gioco di ruolo, poi nel gioco postale della Terra di Mezzo), ma non ho mai amato in modo eccessivo e viscerale i suoi romanzi (meno che mai lo Hobbit, letto tantissimi anni fa e sempre ritenuto niente più che un romanzo per ragazzi - considero alla stessa stregua Harry Potter, per esempio, ma questo non significa che a suo modo non possano (debbano?) essere considerati dei capolavori). Di conseguenza, il fatto che Jackson abbia completamente stravolto il plot e lo sviluppo narrativo dello Hobbit cartaceo non mi tocca se non marginalmente. Mi tocca molto di più che ne abbia ricavato una prima pellicola a mio avviso perfino superiore al primo capitolo del Signore degli Anelli (sicuramente più dinamica e spettacolare), con un grandissimo Bilbo Baggins (Freeman è uno straordinario Watson - e se Dio vuole, pare che avremo una terza e perfino una quarta serie dello splendido Sherlock della BBC - ma è perfino un miglior Bilbo Baggins), una compagnia di nani assolutamente diversa da come me l'ero immaginata (ho degli amici che credo si siano messi a piangere per la disperazione - almeno inizialmente - dopo la prima apparizione di Balin...), ma che nel giro di pochi minuti ti entra nel sangue, un Radagast allegramente sconcertante (e piacevolissimo da vedere), il ritrovare tanti "amici" della prima trilogia, che senza dubbio è piacevole rivedere.
Ho poi apprezzato molto il fatto che il film (e non il romanzo) sia diventato un vero e proprio prequel della trilogia cinematografica, dando modo a Jackson di proseguire nella narrazione (in questo caso a priori) della sua "visione" storica della Terra di Mezzo, con una profondità e una cura dei particolari che ovviamente Tolkien non ha potuto fare, vista le genesi delle sue opere.
Certo, ci sono degli eccessi, alcuni tasti sono toccati con troppa energia, alcune caratterizzazioni possono far storcere la bocca anche a chi è appena appena purista (gli integralisti di Tolkien immagino abbiano preso torce e forconi e si siano recati al castello di Jackson per incenerire lo scienziato pazzo e le sue creature partorite dalla folgore del demonio), ma nel complesso ho trovato la nuova incursione nella Terra di Mezzo di gran lunga superiore a ogni mia aspettativa (molto modesta in verità - ed è anche per questo che finora avevo snobbato il film) e adesso non vedo l'ora di scoprire quali altre "fantasie" aggiungerà alla trama il folletto oceanico nei prossimi due capitoli della saga.
Un pulp al giorno: The Butcher's Eyes
Vi dovevo un ultimo racconto per completare il numero di agosto/settembre 1938 di Horror Stories, di cui abbiamo ampiamente parlato negli ultimi giorni, ed ecco quindi un breve (fortunatamente) racconto di un autore facente parte anche della scuderia di Weird Tales, ovvero Mindret Lord.
La storiella è banalissima e non tiene assolutamente la distanza di tempo che ci separa dalla sua stesura: vi si narra di un riccone sul punto di diventare cieco cui un dottore trapianta gli occhi di un condannato a morte, un macellaio colto da deliri di follia, che ha ucciso la moglie credendola una pecora. Non sto neanche a dire come lo stesso avvenga al riccone, poco dopo aver ricevuto il trapianto.
Raccontino troppo telefonato per aver un minimo di senso al giorno d'oggi, che chiude (in)degnamente un numero della rivista inferiore alle attese, lontano dai migliori del genere.
Adesso una pausa, perché il mio lavoro per Radioarchives mi ha portato ancora una volta sui cieli della Francia del primo conflitto mondiale con G-8 e i suoi Battle Aces
La storiella è banalissima e non tiene assolutamente la distanza di tempo che ci separa dalla sua stesura: vi si narra di un riccone sul punto di diventare cieco cui un dottore trapianta gli occhi di un condannato a morte, un macellaio colto da deliri di follia, che ha ucciso la moglie credendola una pecora. Non sto neanche a dire come lo stesso avvenga al riccone, poco dopo aver ricevuto il trapianto.
Raccontino troppo telefonato per aver un minimo di senso al giorno d'oggi, che chiude (in)degnamente un numero della rivista inferiore alle attese, lontano dai migliori del genere.
Adesso una pausa, perché il mio lavoro per Radioarchives mi ha portato ancora una volta sui cieli della Francia del primo conflitto mondiale con G-8 e i suoi Battle Aces
giovedì 18 luglio 2013
Un pulp al giorno: Things that once were girls
Penultimo appuntamento con i racconti del numero di agosto settembre 1938 di Horror Stories, con uno dei peggiori racconti che mi sia capitato di leggere in uno degli shudder pulps, nonostante il titolo straordinario (e piuttosto fuorviante) e nonostante la storia sia praticamente l'epitome del genere.
Scritta da Donald Graham (pseudonimo di Donald Cormack, autore molto attivo nel genere in quegli anni), la vicenda, scritta malissimo, narra di una razza perduta di Aztechi, una città nascosta dietro una cascata nelle montagne messicane, e gli osceni rituali di tortura e morte che vi si svolgono, possibilmente ai danni di bellissime donne bianche. Fin qui, a parte la banalità della situazione più e più volte ritratta, nulla di strano; ma l'autore infarcisce il tutto in una sequenza di eventi demenziale, in personaggi usa e getta sfruttati nel modo più incomprensibile, in spiegazioni del cattivo di turno (che si capisce subito chi è) buttate là a metà della storia, redenzioni stile Innominato del tutto prive di fondamento, insomma, un coacervo di spazzatura, tinteggiato da scene di tortura e nudità femminili tipiche del genere - e forse, malauguratamente, unico punto di forza, se si vuol dir così, del racconto, almeno capace di calarlo a pieno titolo nella rivista di cui fa parte.
Una vera delusione
Scritta da Donald Graham (pseudonimo di Donald Cormack, autore molto attivo nel genere in quegli anni), la vicenda, scritta malissimo, narra di una razza perduta di Aztechi, una città nascosta dietro una cascata nelle montagne messicane, e gli osceni rituali di tortura e morte che vi si svolgono, possibilmente ai danni di bellissime donne bianche. Fin qui, a parte la banalità della situazione più e più volte ritratta, nulla di strano; ma l'autore infarcisce il tutto in una sequenza di eventi demenziale, in personaggi usa e getta sfruttati nel modo più incomprensibile, in spiegazioni del cattivo di turno (che si capisce subito chi è) buttate là a metà della storia, redenzioni stile Innominato del tutto prive di fondamento, insomma, un coacervo di spazzatura, tinteggiato da scene di tortura e nudità femminili tipiche del genere - e forse, malauguratamente, unico punto di forza, se si vuol dir così, del racconto, almeno capace di calarlo a pieno titolo nella rivista di cui fa parte.
Una vera delusione
Un pulp al giorno: School for the Dying
Il solito numero di agosto-settembre 1938 di Horror Stories ci regala oggi un mystery vero e proprio, con minime tracce di horror e sesso, per poter rientrare nei canoni consueti della rivista. In effetti, sono talmente minimi che un racconto del genere avrebbe potuto trovare ospitalità anche in pulp come Black Mask o Dime Detective.
Scritto da Julius Long (già visto in precedenza e autore molto prolifico nel periodo su questo tipo di riviste), è un racconto piuttosto scialbo e monotono, piatto e scontato, imperniato sulla morte per acido dalla doccia di un gruppo di studentesse di un prestigioso college altolocato, che rischia l'inevitabile chiusura per mancanza di iscrizioni dopo un fatto del genere, e tutta l'arzigogolata e improbabile vicenda vede uno degli insegnanti di chimica coinvolto nel cercare di salvarsi dall'infamante accusa di essere il killer dell'acido, mentre in realtà l'artefice del misfatto è lo stesso anziano preside dell'isituto. Nel frattempo il nostro "eroe" troverà anche modo di innamorarsi (ovviamente ricambiato) dalla gelida e precedentemente odiata segretaria del preside.
Scritto controvoglia e malamente sviluppato, il racconto mostra le peggiori pecche del genere, mancando quasi totalmente delle scene voyeuristiche insite negli shudder pulps, ma al contempo anche di una qualsiasi trama plausibile in un mystery vero e proprio (quale vorrebbe essere), risultando in un caotico affastellarsi di eventi che l'autore poi si vede costretto a spiegare al lettore in una sequenza insolitamente lunga e tediosa e non priva di possibili contraddizioni.
Deludente, quindi, ed è un peccato perché Long in precedenza ci era piaciuto anche molto.
Scritto da Julius Long (già visto in precedenza e autore molto prolifico nel periodo su questo tipo di riviste), è un racconto piuttosto scialbo e monotono, piatto e scontato, imperniato sulla morte per acido dalla doccia di un gruppo di studentesse di un prestigioso college altolocato, che rischia l'inevitabile chiusura per mancanza di iscrizioni dopo un fatto del genere, e tutta l'arzigogolata e improbabile vicenda vede uno degli insegnanti di chimica coinvolto nel cercare di salvarsi dall'infamante accusa di essere il killer dell'acido, mentre in realtà l'artefice del misfatto è lo stesso anziano preside dell'isituto. Nel frattempo il nostro "eroe" troverà anche modo di innamorarsi (ovviamente ricambiato) dalla gelida e precedentemente odiata segretaria del preside.
Scritto controvoglia e malamente sviluppato, il racconto mostra le peggiori pecche del genere, mancando quasi totalmente delle scene voyeuristiche insite negli shudder pulps, ma al contempo anche di una qualsiasi trama plausibile in un mystery vero e proprio (quale vorrebbe essere), risultando in un caotico affastellarsi di eventi che l'autore poi si vede costretto a spiegare al lettore in una sequenza insolitamente lunga e tediosa e non priva di possibili contraddizioni.
Deludente, quindi, ed è un peccato perché Long in precedenza ci era piaciuto anche molto.
mercoledì 17 luglio 2013
Darkness waiting: Sudden Death, espansione per Blood Bowl Team Manager
Qualche mese fa su queste pagine avevo parlato di Blood Bowl Team Manager, un'interessante variante di carte a più giocatori del classico gioco di football americano fantasy.
Adesso parliamo un po' della prima espansione dedicata al gioco, Sudden Death, per adesso disponibile solo in lingua inglese, ma immagino presto traslata anche nella lingua di Dante.
Il gioco aggiunge tre nuove squadre alle sei presenti nel gioco base (ovvero Conti Vampiro, Elfi Scuri e Non Morti), ma soprattutto alcune interessanti varianti sia per l'attribuzione dei premi per i vincitori dei vari incontri, sia nel gioco stesso delle squadre.
Dal punto di vista dei premi, l'aggiunta dei cosiddetti contracts (ovvero dei premi variabili da 2 a 5 tifosi, che si scoprono soltanto alla conclusione della partita) aggiunge un po' di imprevedibilità al calcolo dei punti vittoria, consentendo rimonte inattese.
Altra variante molto carina è l'introduzione dei palloni magici, che attribuiscono a chiunque ne entri in possesso variabili che possono andare da tifosi extra, ad azioni di gioco immediatamente giocabili, etc.
Semplice ed efficace
La variazione più grande riguarda le regole per i nuovi team. La principale novità - che a mio avviso sbilancia non poco il gioco e penalizza le vecchie squadre (come era intuibile visto che tendono a farlo le espansioni di qualsiasi gioco dove si introducono nuove squadre) - è l'utilizzo di una o più abilità da parte dei giocatori che vengono buttati a terra per un blocco; si tratta di abilità che vengono usate subito, interrompendo l'azione del giocatore in gioco e possono avere effetti decisamente notevoli.
Tra queste abilità per i giocatori "stesi al suolo" c'è l'introduzione della rigenerazione, caratteristica dei soli vampiri e non morti (questi ultimi hanno praticamente l'intera squadra in grado di rigenerare), che possono rialzarsi se buttati a terra da un blocco una volta su sei.
Che dire? A una prima partita a 3 giocatori giocata con i soli tre team new entries, i non morti sono parsi molto molto forti, gli elfi scuri interessanti, i conti vampiro meno efficaci del previsto.
Stiamo già pensando a delle varianti per limitare la forza di queste nuove squadre (che giocando come fazione a se stante, hanno anche il vantaggio di scegliere da un numero limitato di star player, generalmente piuttosto forti): la prima che proveremo è quella di lasciar libera la scelta degli star player (non quindi dalla propria fazione, secondo le regole, ma da uno qualsiasi dei tre mazzi di gioco), ma limitando l'utilizzo degli extra-fazione a 3 star player per turno (o forse addirittura a 3 per l'intera partita).
Altra regola che vorrei provare, è quella di valutare eventuali infortuni degli star players (regola assente dal gioco base, ma che fa molto Blood Bowl originale): se si utilizza in comunione con la precedente proposta, non dovrebbe sbilanciare in modo esagerato il gioco.
Infine, vorrei provare a introdurre un sistema di premiazione a punti: il vincitore di ogni confronto accumula un certo numero di punti, che poi potrà usare per comprare abilità aggiuntive per i giocatori normali (non gli star player), da aggiungere come abilità a terra per le sei squadre originali (che altrimenti credo siano piuttosto penalizzate da un confronto contro le tre squadre che hanno tali abilità).
In linea di massima, Blood Bowl Team Manager è un ottimo gioco e noi ci stiamo divertando un sacco a giocarlo (tanto che si è resa necessaria l'acquisizione di una scatola di espansione). L'espansione aggiunge al divertimento e spinge, come avete visto, a progettare nuove varianti, nuove modifiche, nuove idee per dar vita a un gioco sempre più equilibrato e affascinante.
Non vedo l'ora che venga prodotta qualche altra espansione con nuove squadre (ne mancano ancora parecchie); altrimenti, sarà il caso che ce la facciamo da soli.
Adesso parliamo un po' della prima espansione dedicata al gioco, Sudden Death, per adesso disponibile solo in lingua inglese, ma immagino presto traslata anche nella lingua di Dante.
Il gioco aggiunge tre nuove squadre alle sei presenti nel gioco base (ovvero Conti Vampiro, Elfi Scuri e Non Morti), ma soprattutto alcune interessanti varianti sia per l'attribuzione dei premi per i vincitori dei vari incontri, sia nel gioco stesso delle squadre.
Dal punto di vista dei premi, l'aggiunta dei cosiddetti contracts (ovvero dei premi variabili da 2 a 5 tifosi, che si scoprono soltanto alla conclusione della partita) aggiunge un po' di imprevedibilità al calcolo dei punti vittoria, consentendo rimonte inattese.
Altra variante molto carina è l'introduzione dei palloni magici, che attribuiscono a chiunque ne entri in possesso variabili che possono andare da tifosi extra, ad azioni di gioco immediatamente giocabili, etc.
Semplice ed efficace
La variazione più grande riguarda le regole per i nuovi team. La principale novità - che a mio avviso sbilancia non poco il gioco e penalizza le vecchie squadre (come era intuibile visto che tendono a farlo le espansioni di qualsiasi gioco dove si introducono nuove squadre) - è l'utilizzo di una o più abilità da parte dei giocatori che vengono buttati a terra per un blocco; si tratta di abilità che vengono usate subito, interrompendo l'azione del giocatore in gioco e possono avere effetti decisamente notevoli.
Tra queste abilità per i giocatori "stesi al suolo" c'è l'introduzione della rigenerazione, caratteristica dei soli vampiri e non morti (questi ultimi hanno praticamente l'intera squadra in grado di rigenerare), che possono rialzarsi se buttati a terra da un blocco una volta su sei.
Che dire? A una prima partita a 3 giocatori giocata con i soli tre team new entries, i non morti sono parsi molto molto forti, gli elfi scuri interessanti, i conti vampiro meno efficaci del previsto.
Stiamo già pensando a delle varianti per limitare la forza di queste nuove squadre (che giocando come fazione a se stante, hanno anche il vantaggio di scegliere da un numero limitato di star player, generalmente piuttosto forti): la prima che proveremo è quella di lasciar libera la scelta degli star player (non quindi dalla propria fazione, secondo le regole, ma da uno qualsiasi dei tre mazzi di gioco), ma limitando l'utilizzo degli extra-fazione a 3 star player per turno (o forse addirittura a 3 per l'intera partita).
Altra regola che vorrei provare, è quella di valutare eventuali infortuni degli star players (regola assente dal gioco base, ma che fa molto Blood Bowl originale): se si utilizza in comunione con la precedente proposta, non dovrebbe sbilanciare in modo esagerato il gioco.
Infine, vorrei provare a introdurre un sistema di premiazione a punti: il vincitore di ogni confronto accumula un certo numero di punti, che poi potrà usare per comprare abilità aggiuntive per i giocatori normali (non gli star player), da aggiungere come abilità a terra per le sei squadre originali (che altrimenti credo siano piuttosto penalizzate da un confronto contro le tre squadre che hanno tali abilità).
In linea di massima, Blood Bowl Team Manager è un ottimo gioco e noi ci stiamo divertando un sacco a giocarlo (tanto che si è resa necessaria l'acquisizione di una scatola di espansione). L'espansione aggiunge al divertimento e spinge, come avete visto, a progettare nuove varianti, nuove modifiche, nuove idee per dar vita a un gioco sempre più equilibrato e affascinante.
Non vedo l'ora che venga prodotta qualche altra espansione con nuove squadre (ne mancano ancora parecchie); altrimenti, sarà il caso che ce la facciamo da soli.
martedì 16 luglio 2013
Un pulp al giorno: I paint only death
Il racconto pulp di oggi, sempre dalle pagine del numero di agosto/settembre 1938 di Horror Stories, appartiene a uno scrittore che viene reputato uno dei grandi della fantascienza delle origini, quel Ray Cummings, autore di numerose incursioni nei mondi dell'infinitamente piccolo, che sono state pubblicate anche nel nostro paese, in particolare dalla casa editrice Libra.
In realtà Cummings ha scritto racconti dei generi più diversi, e non ha disdegnato incursioni anche nell'horror, e più in particolare negli shudder pulps.
Questo racconto sembra un classico episodio televisivo dei primi anni Sessanta, se non fosse per il sesso e il sangue che lascia uscire a ogni capoverso. Narra la vicenda di un brillante pittore di nudi femminili, che, a causa della maledizione lanciatagli da una sua ex-modella di cui ha rifiutato le avances, è convinto che ogni quadro che porti a compimento comporti la morte della modella ritratta. Sostanziata dalle morti, apparentemente dovute ad abusi di sostanze stupefacenti e incidenti stradali, di due sue ex modelle, l'uomo decide di non impugnare mai più un pennello per dipingere, ma poi, l'incontro con una donna affascinante che in breve tempo diventa sua moglie (dall'improbabile nome di Anitra), lo spinge a tornare sui propri passi. Convinto anche dalle continue insistenze di un amico produttore di stampe artistiche, l'uomo accetta di dipingere la moglie e sfidare la maledizione... riuscirà a prevalere, scoprendo altresì il folle piano dell'amico produttore.
Costruito molto bene nella prima parte, con il crescendo della maledizione e dello scivolamento nella follia del pittore, con vivide e sensuali descrizioni dell'appagamento sessuale e artistico dell'artista al lavoro, il racconto perde molta della sua forza nello scialbo finale, con il classico venir meno di ogni elemento sovrannaturale, e la sostituzione con un banalissimo complotto di gelosa vendetta del mentecatto di turno.
Resta leggibile, come ottimo esempio della media dei racconti del periodo, forse con un livello letterario un filo più alto nella prima parte, prima di scadere nel trito e ritrito.
In realtà Cummings ha scritto racconti dei generi più diversi, e non ha disdegnato incursioni anche nell'horror, e più in particolare negli shudder pulps.
Questo racconto sembra un classico episodio televisivo dei primi anni Sessanta, se non fosse per il sesso e il sangue che lascia uscire a ogni capoverso. Narra la vicenda di un brillante pittore di nudi femminili, che, a causa della maledizione lanciatagli da una sua ex-modella di cui ha rifiutato le avances, è convinto che ogni quadro che porti a compimento comporti la morte della modella ritratta. Sostanziata dalle morti, apparentemente dovute ad abusi di sostanze stupefacenti e incidenti stradali, di due sue ex modelle, l'uomo decide di non impugnare mai più un pennello per dipingere, ma poi, l'incontro con una donna affascinante che in breve tempo diventa sua moglie (dall'improbabile nome di Anitra), lo spinge a tornare sui propri passi. Convinto anche dalle continue insistenze di un amico produttore di stampe artistiche, l'uomo accetta di dipingere la moglie e sfidare la maledizione... riuscirà a prevalere, scoprendo altresì il folle piano dell'amico produttore.
Costruito molto bene nella prima parte, con il crescendo della maledizione e dello scivolamento nella follia del pittore, con vivide e sensuali descrizioni dell'appagamento sessuale e artistico dell'artista al lavoro, il racconto perde molta della sua forza nello scialbo finale, con il classico venir meno di ogni elemento sovrannaturale, e la sostituzione con un banalissimo complotto di gelosa vendetta del mentecatto di turno.
Resta leggibile, come ottimo esempio della media dei racconti del periodo, forse con un livello letterario un filo più alto nella prima parte, prima di scadere nel trito e ritrito.
domenica 14 luglio 2013
Un pulp al giorno: Madman's Merry-go-round
Secondo racconto del numero in esame di Horror Stories, agosto-settembre 1938, una breve storiella che sembra anticipare (se non per l'eccesso di sessualità, che ne sarebbe stata sicuramente evinta) gli episodi televisivi delle prime stagioni di Twilight zone.
Scritto da uno dei più attivi autori pulp degli shudder pulps, Donald Dale, Madman's Merry-go-round possiede tutto il fascino incoerente della media dei racconti di queste riviste: trama piena di buchi nonostante la sua brevità, personaggi poco più che macchietta, pulsioni ormonali adolescenziali alla massima potenza. Vi si narra di una strana giostra da luna park (setting oltremodo classico di buona parte dell'horror del periodo della Depressione) formata da un corteo di satiri e ninfe, condotta da uno strano individuo dall'aspetto e dal nome ieratico (Ariestes), e della curiosa presenza di un satiro in più rispetto alle prede dei suoi corteggiamenti: una tredicesima statua che sembra quasi avere vita. Il protagonista, curatore del carnival per conto della fidanzata, figlia del recentemente defunto proprietario dello spettacolo viaggiante, decide di far allontanare la giostra dal convoglio, perché distrae troppi spettatori dalle altre attrazioni.
Ma nonostante questo, una serie di delitti e sparizioni di belle donne segue all'allontamento e tracce di zoccoli di satiro sono vicini al luogo del delitto. La stessa Molly, fidanzata del protagonista, sparisce e viene presto ritrovata prigioniera del satiro e di Ariestes, legata alla ruota della giostra stessa e fatta girare a folle velocità, con la speranza di ucciderla con la forza centrifuga. Il piano fallirà e si scoprirà come l'artifice del progetto fosse il cugino di Molly, rimasto unico erede dello spettacolo in caso di dipartita della suddetta...
Molto calcato sul piano del voyeurismo sessuale, il racconto rientra a pieno titolo negli shudder pulps, con i suoi connotati violenti e misogini accentuati a dismisura, ma resta un esempio mediocre di un genere che ha dato molto di meglio - pur nella pochezza di spessore della gran quantità delle sue trame.
Scritto da uno dei più attivi autori pulp degli shudder pulps, Donald Dale, Madman's Merry-go-round possiede tutto il fascino incoerente della media dei racconti di queste riviste: trama piena di buchi nonostante la sua brevità, personaggi poco più che macchietta, pulsioni ormonali adolescenziali alla massima potenza. Vi si narra di una strana giostra da luna park (setting oltremodo classico di buona parte dell'horror del periodo della Depressione) formata da un corteo di satiri e ninfe, condotta da uno strano individuo dall'aspetto e dal nome ieratico (Ariestes), e della curiosa presenza di un satiro in più rispetto alle prede dei suoi corteggiamenti: una tredicesima statua che sembra quasi avere vita. Il protagonista, curatore del carnival per conto della fidanzata, figlia del recentemente defunto proprietario dello spettacolo viaggiante, decide di far allontanare la giostra dal convoglio, perché distrae troppi spettatori dalle altre attrazioni.
Ma nonostante questo, una serie di delitti e sparizioni di belle donne segue all'allontamento e tracce di zoccoli di satiro sono vicini al luogo del delitto. La stessa Molly, fidanzata del protagonista, sparisce e viene presto ritrovata prigioniera del satiro e di Ariestes, legata alla ruota della giostra stessa e fatta girare a folle velocità, con la speranza di ucciderla con la forza centrifuga. Il piano fallirà e si scoprirà come l'artifice del progetto fosse il cugino di Molly, rimasto unico erede dello spettacolo in caso di dipartita della suddetta...
Molto calcato sul piano del voyeurismo sessuale, il racconto rientra a pieno titolo negli shudder pulps, con i suoi connotati violenti e misogini accentuati a dismisura, ma resta un esempio mediocre di un genere che ha dato molto di meglio - pur nella pochezza di spessore della gran quantità delle sue trame.
sabato 13 luglio 2013
Un pulp al giorno: Satan's five Days
Ah, che bello tornare dopo una pausa abbastanza lunga, alle solite stupide assurdità degli shudder pulps e alla morbosità adolescenziale che massimamente li caratterizza!
Stavolta ci occupiamo del numero di agosto/settembre del 1938 della mitica Horror Stories, e il primo racconto scelto per la nostra analisi è Satan's Five Days, scritto da Henry Treat Sperry (autore estramente prolifico nel decennio della Grande Depressione, in campi alquanto variegati, ma principalmente negli shudder pulps, appunto). La trama è presto detto: alcune zone sperdute del profondo nord degli Stati Uniti, prima nello stato di Washington, poi nel Montana, sono letteralmente spazzate via da una misteriosa ondata distruttiva che elimina completamente ogni forma di vita, animale o vegetale, dalla zona colpita, lasciando soltanto le ossa dei cadaveri. L'azione si ripete ogni sera su scala sempre più vasta e ogni volta dei messaggi lasciati da curiosi araldi che subito muoiono suicidi invitano il governo statunitense e tutte le autorità federali alle dimissioni di massa, per lasciare posto al nuovo governo dell'Imperatore del Mondo.
Un ranger forestale, Pete Long, si trova coinvolto nella vicenda, scopre casualmente il covo del Frate Nero (così si fa chiamare il sedicente nuovo sovrano mondiale, uno straniero - probabilmente medio-orientale dalla descrizione sommaria che ne viene data - curioso particolare su cui torneremo in seguito) e anche che la devastazione è provocata da miliardi di strane formiche corazzate; sfuggito alla cattura una prima volta, il ranger viene preso una seconda volta quando cerca di salvare la ragazza che ama, ma, grazie a un prodotto contro le vespe che casualmente portava in tasca, riesce a isolare il proprio corpo e quello della compagna dalla minaccia delle formiche, respinte dall'odore, e con la collaborazione del completamente demente Frate Nero (che, temendo che l'uomo possa liberarsi dalla vasca di vetro contenente le formiche assassine dove era stato gettato con la ragazza, non pensa di meglio che sparargli, mandando in frantumi l'unica parete che lo divideva dalla morte immediata, che puntuale si verifica). Una medaglia al merito per l'eroico ranger chiude l'inaudita e improbabile vicenda.
Aldilà delle incongruenze di trama, alla faciloneria con cui tutto quanto si svolge, alla demenzialità del comportamento di buona parte dei personaggi, la storia contiene in sé tutto quanto rende "pulp" la narrativa pulp, nella sua totale e ingenua follia.
E' estremamente curiosa per la scelta dell'avversario (probabilmente un medio-orientale, appunto) e per il monito che la sottende, esplicitato dalle parole finali del Presidente, verso un'organizzazione terrorista che si nasconde all'interno stesso del Paese, dormiente da tempo ma sempre pronta a colpire contro il Difensori della Libertà. Retorica a iosa, ovviamente, negli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale, ma strani, quasi strabilianti presagi di quanto sarebbe successo oltre settant'anni dopo.
Due parole sull'aspetto più propriamente "shudder" del racconto: se la minaccia delle formiche assassine sembra banale e poco probabile (la spiegazione di come funzioni il meccanismo per farle funzionare a comando per brevi periodi di tempo è alquanto labile e fumosa), mi lascia indubbiamente perplesso il fatto di scoprirvi clamorosi punti di raccordo con un mio racconto inedito risalente al 1983, intitolato appunto "Formiche" e, straordinariamente, ambientato nel Montana... che il fantasma di Treat Sperry si muovesse in me a mia insaputa?
Stavolta ci occupiamo del numero di agosto/settembre del 1938 della mitica Horror Stories, e il primo racconto scelto per la nostra analisi è Satan's Five Days, scritto da Henry Treat Sperry (autore estramente prolifico nel decennio della Grande Depressione, in campi alquanto variegati, ma principalmente negli shudder pulps, appunto). La trama è presto detto: alcune zone sperdute del profondo nord degli Stati Uniti, prima nello stato di Washington, poi nel Montana, sono letteralmente spazzate via da una misteriosa ondata distruttiva che elimina completamente ogni forma di vita, animale o vegetale, dalla zona colpita, lasciando soltanto le ossa dei cadaveri. L'azione si ripete ogni sera su scala sempre più vasta e ogni volta dei messaggi lasciati da curiosi araldi che subito muoiono suicidi invitano il governo statunitense e tutte le autorità federali alle dimissioni di massa, per lasciare posto al nuovo governo dell'Imperatore del Mondo.
Un ranger forestale, Pete Long, si trova coinvolto nella vicenda, scopre casualmente il covo del Frate Nero (così si fa chiamare il sedicente nuovo sovrano mondiale, uno straniero - probabilmente medio-orientale dalla descrizione sommaria che ne viene data - curioso particolare su cui torneremo in seguito) e anche che la devastazione è provocata da miliardi di strane formiche corazzate; sfuggito alla cattura una prima volta, il ranger viene preso una seconda volta quando cerca di salvare la ragazza che ama, ma, grazie a un prodotto contro le vespe che casualmente portava in tasca, riesce a isolare il proprio corpo e quello della compagna dalla minaccia delle formiche, respinte dall'odore, e con la collaborazione del completamente demente Frate Nero (che, temendo che l'uomo possa liberarsi dalla vasca di vetro contenente le formiche assassine dove era stato gettato con la ragazza, non pensa di meglio che sparargli, mandando in frantumi l'unica parete che lo divideva dalla morte immediata, che puntuale si verifica). Una medaglia al merito per l'eroico ranger chiude l'inaudita e improbabile vicenda.
Aldilà delle incongruenze di trama, alla faciloneria con cui tutto quanto si svolge, alla demenzialità del comportamento di buona parte dei personaggi, la storia contiene in sé tutto quanto rende "pulp" la narrativa pulp, nella sua totale e ingenua follia.
E' estremamente curiosa per la scelta dell'avversario (probabilmente un medio-orientale, appunto) e per il monito che la sottende, esplicitato dalle parole finali del Presidente, verso un'organizzazione terrorista che si nasconde all'interno stesso del Paese, dormiente da tempo ma sempre pronta a colpire contro il Difensori della Libertà. Retorica a iosa, ovviamente, negli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale, ma strani, quasi strabilianti presagi di quanto sarebbe successo oltre settant'anni dopo.
Due parole sull'aspetto più propriamente "shudder" del racconto: se la minaccia delle formiche assassine sembra banale e poco probabile (la spiegazione di come funzioni il meccanismo per farle funzionare a comando per brevi periodi di tempo è alquanto labile e fumosa), mi lascia indubbiamente perplesso il fatto di scoprirvi clamorosi punti di raccordo con un mio racconto inedito risalente al 1983, intitolato appunto "Formiche" e, straordinariamente, ambientato nel Montana... che il fantasma di Treat Sperry si muovesse in me a mia insaputa?
giovedì 11 luglio 2013
Cult: tu sei il prossimo...
Ancora un post sulle serie TV (il mio lavoro di proofreader per la Radioarchive è un po' fermo al momento, e le ultime letture sono state G-8 and his battle aces, che come dicevo, dopo averne lette un paio risultano tutte sostanzialmente uguali), questa volta su di una serie misconosciuta, che però sembra decisamente interessante.
Il plot verte attorno a una serie televisiva di nome "Cult" (appunto), che segue le vicende di una ex militante di una setta parareligiosa (stile strage di Waco) diventata poliziotto, le cui sorella e nipote vengono probabilmente rapite per ordine dello stesso capo della setta, Billy Grimm (perfetto esempio di psicopatico maniaco religioso, un tempo di gran moda nei telefilm). Questa la fiction. Nella realtà (ammesso che lo sia, visto che il limite fra le due cose sembra alquanto labile nel pilot), un giornalista da poco licenziato dal Post (perché ha falsificato delle notizie pur di far arrestare un gruppo di poliziotti corrotti) viene contattato dal fratello (uno spostato evidentemente ex drogato e con la sindrome della teoria del complotto) che gli comunica che qualcosa di strano sta avvenendo in quella serie tv (che nel frattempo sta diventando veramente di culto e il cui autore è praticamente inavvicinabile - non lo si vede mai nel pilot e ci sarà ovviamente un motivo), prima di scomparire misteriosamente. Il giornalista parte alla ricerca del parente svitato e si trova coinvolto in una serie di delitti, che sembrano tutti rincondurre in qualche modo alla serie tv (che viene trasmessa un po' ovunque, perfino nei monitor delle stazioni di servizio...).
Intrighi su intrighi, un cast abbastanza azzeccato, e un susseguirsi di colpi di scena rendono la visione adatta a tutti quanti amino le serie "complottistiche" e prive di senso (ma con la promessa di qualcosa di molto ganzo proprio in fondo in fondo - ammesso che ci sia, ne dubito). Credo che seguirò qualche altra puntata per vedere dove va a parare. Le premesse sono buone e l'idea è notevolmente interessante.
Vi aggiorno in futuro.
Il plot verte attorno a una serie televisiva di nome "Cult" (appunto), che segue le vicende di una ex militante di una setta parareligiosa (stile strage di Waco) diventata poliziotto, le cui sorella e nipote vengono probabilmente rapite per ordine dello stesso capo della setta, Billy Grimm (perfetto esempio di psicopatico maniaco religioso, un tempo di gran moda nei telefilm). Questa la fiction. Nella realtà (ammesso che lo sia, visto che il limite fra le due cose sembra alquanto labile nel pilot), un giornalista da poco licenziato dal Post (perché ha falsificato delle notizie pur di far arrestare un gruppo di poliziotti corrotti) viene contattato dal fratello (uno spostato evidentemente ex drogato e con la sindrome della teoria del complotto) che gli comunica che qualcosa di strano sta avvenendo in quella serie tv (che nel frattempo sta diventando veramente di culto e il cui autore è praticamente inavvicinabile - non lo si vede mai nel pilot e ci sarà ovviamente un motivo), prima di scomparire misteriosamente. Il giornalista parte alla ricerca del parente svitato e si trova coinvolto in una serie di delitti, che sembrano tutti rincondurre in qualche modo alla serie tv (che viene trasmessa un po' ovunque, perfino nei monitor delle stazioni di servizio...).
Intrighi su intrighi, un cast abbastanza azzeccato, e un susseguirsi di colpi di scena rendono la visione adatta a tutti quanti amino le serie "complottistiche" e prive di senso (ma con la promessa di qualcosa di molto ganzo proprio in fondo in fondo - ammesso che ci sia, ne dubito). Credo che seguirò qualche altra puntata per vedere dove va a parare. Le premesse sono buone e l'idea è notevolmente interessante.
Vi aggiorno in futuro.
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sabato 6 luglio 2013
Pilot visionando qua e là
Post anomalo e riassuntivo degli ultimi pilot visti dal sottoscritto nelle ultime serate. Niente di troppo rilevante, a dire il vero, e quindi ho pensato bene di fare un solo post con qualche riga di commento su ognuno.
Iniziamo con un'autentica cagata, ormai piuttosto vecchia (credo sia del 2010 o del 2011), già giustamente mazziata da Serie poco serie (il sito di Chiara e Lapo, che dovrebbe essere ogni tanto aggiornato, perché molto, molto divertente), ovvero The League, sitcom talmente assurda da risultare inguardabile sul fantafootball (versione ammerigana del fantacalcio, cui gioco anch'io in rete da qualche anno, divertendomi parecchio, per la verità, senza arrivare alle follie demenziale presentate nel telefilm). Umorismo di bassissima lega, attori uno più antipatico dell'altro. Da cestinare immediatamente.
Un po' meglio, ma niente di straordinario, è poi How to live with your parents (for the rest of your life), commediola familiare, molto classica nella struttura, che rispolvera come protagonista la dottoressa bionda e svampita di Scrubs, affiancandole l'irriconoscibile Elizabeth Perkins (vista tra l'altro in film come Big e nel ruolo di Wilma nei Flinstones - d'altro canto gli anni passano per tutti e la Perkins ormai ha passato le cinquanta primavere) e il sempre abbastanza divertente Brad Garrett (famoso soprattutto per il ruolo del fratello nel protagonista in Tutti amano Raymond): si narra di una donna che divorziato dal marito torna con la figlioletta dai genitori, un tempo facenti parte di una comunità hippie (richiami a Dharma e Greg? Sì, anche se quest'ultima era molto meglio); gag risapute, qualche risata viene strappata senza troppo sforzo, ma non credo sia una serie da ritenersi sitcom di punta per le nostre serate estive.
Ben altra pasta è l'ultima sitcom di oggi: Vicious, produzione BBC (e dico tutto) con protagonisti niente meno che Ian McKellen (proprio lui, Gandalf, Magneto, il nazista de L'allievo, James Whale in Gods and Monsters, insomma un mito) e Derek Iacobi (il fratello Cadfael dell'omonimo telefilm, ma grandissimo attore shakespeariano - proprio come il collega). I due si ritrovano nei panni di un'anziana coppia di omosessuali circondata di personaggi improbabili, dannatamente british e irresistibilmente divertenti. Piena di battute caustiche, di siparietti divertenti, tutta girata in interno (come era lo stile di un tempo, prettamente teatrale), maledettamente inglese e piacevolmente intrigante. Peccato duri soltanto 6 puntate, perché i due gigioni al comando meritano ogni istante. Da vedere rigorosamente in inglese, anche se dovessero doppiarla nella lingua di Dante.
Passiamo adesso ad altri due pilot, stavolta di argomento fantastico: Under the dome tratto da Stephen King, è insopportabilmente kinghiano, il re dello scontato, e puzza di vecchio nonostante il tentativo di farla sembrare moderna. Non è letto il romanzo da cui è tratta (o racconto, non so, ho mollato King da decenni, ormai) e non intendo proprio farlo, ma neanche continuare a vederla. Chi ha chiuso il paese in una campana di vetro? Chissene, ho di meglio da guardare...
Appena più intrigante, ma comunque per adesso niente di particolare, anche Hemlock Grove, salvata dalla presenza di Famke Jennsen, forse un angelo (o un demone, o un non importa nulla... è Famke Jennsen, punto), in una strana cittadina popolata di gitani (con piccolo ruolo di contorno per Lily Palmer, già in The Addiction di Ferrara - Abel, ovviamente, non l'insopportabile obeso che infesta di tanto in tanto la TV) e creature che sembrano uscite da una specie di Famiglia Addams pensata da David Lynch. E' forse quello il referente principe della vicenda, che avrà una seconda occasione per avvincermi, o per farsi lasciar perdere per sempre.
Chiudo rimandando ad altro post House of Cards e Smash. Stay tuned!
Iniziamo con un'autentica cagata, ormai piuttosto vecchia (credo sia del 2010 o del 2011), già giustamente mazziata da Serie poco serie (il sito di Chiara e Lapo, che dovrebbe essere ogni tanto aggiornato, perché molto, molto divertente), ovvero The League, sitcom talmente assurda da risultare inguardabile sul fantafootball (versione ammerigana del fantacalcio, cui gioco anch'io in rete da qualche anno, divertendomi parecchio, per la verità, senza arrivare alle follie demenziale presentate nel telefilm). Umorismo di bassissima lega, attori uno più antipatico dell'altro. Da cestinare immediatamente.
Un po' meglio, ma niente di straordinario, è poi How to live with your parents (for the rest of your life), commediola familiare, molto classica nella struttura, che rispolvera come protagonista la dottoressa bionda e svampita di Scrubs, affiancandole l'irriconoscibile Elizabeth Perkins (vista tra l'altro in film come Big e nel ruolo di Wilma nei Flinstones - d'altro canto gli anni passano per tutti e la Perkins ormai ha passato le cinquanta primavere) e il sempre abbastanza divertente Brad Garrett (famoso soprattutto per il ruolo del fratello nel protagonista in Tutti amano Raymond): si narra di una donna che divorziato dal marito torna con la figlioletta dai genitori, un tempo facenti parte di una comunità hippie (richiami a Dharma e Greg? Sì, anche se quest'ultima era molto meglio); gag risapute, qualche risata viene strappata senza troppo sforzo, ma non credo sia una serie da ritenersi sitcom di punta per le nostre serate estive.
Ben altra pasta è l'ultima sitcom di oggi: Vicious, produzione BBC (e dico tutto) con protagonisti niente meno che Ian McKellen (proprio lui, Gandalf, Magneto, il nazista de L'allievo, James Whale in Gods and Monsters, insomma un mito) e Derek Iacobi (il fratello Cadfael dell'omonimo telefilm, ma grandissimo attore shakespeariano - proprio come il collega). I due si ritrovano nei panni di un'anziana coppia di omosessuali circondata di personaggi improbabili, dannatamente british e irresistibilmente divertenti. Piena di battute caustiche, di siparietti divertenti, tutta girata in interno (come era lo stile di un tempo, prettamente teatrale), maledettamente inglese e piacevolmente intrigante. Peccato duri soltanto 6 puntate, perché i due gigioni al comando meritano ogni istante. Da vedere rigorosamente in inglese, anche se dovessero doppiarla nella lingua di Dante.
Passiamo adesso ad altri due pilot, stavolta di argomento fantastico: Under the dome tratto da Stephen King, è insopportabilmente kinghiano, il re dello scontato, e puzza di vecchio nonostante il tentativo di farla sembrare moderna. Non è letto il romanzo da cui è tratta (o racconto, non so, ho mollato King da decenni, ormai) e non intendo proprio farlo, ma neanche continuare a vederla. Chi ha chiuso il paese in una campana di vetro? Chissene, ho di meglio da guardare...
Appena più intrigante, ma comunque per adesso niente di particolare, anche Hemlock Grove, salvata dalla presenza di Famke Jennsen, forse un angelo (o un demone, o un non importa nulla... è Famke Jennsen, punto), in una strana cittadina popolata di gitani (con piccolo ruolo di contorno per Lily Palmer, già in The Addiction di Ferrara - Abel, ovviamente, non l'insopportabile obeso che infesta di tanto in tanto la TV) e creature che sembrano uscite da una specie di Famiglia Addams pensata da David Lynch. E' forse quello il referente principe della vicenda, che avrà una seconda occasione per avvincermi, o per farsi lasciar perdere per sempre.
Chiudo rimandando ad altro post House of Cards e Smash. Stay tuned!
mercoledì 3 luglio 2013
Un pulp al giorno: Street of Jungle Death
Chiudiamo la nostra analisi del numero di luglio agosto 1939 di Strange Detective Mysteries con il racconto più significativo, se non altro per il nome del suo autore, Cornell Woolrich.
Stando ad alcune fonti consultate in rete, il racconto in questione può essere considerata una sorta di bozza di massima del successivo romanzo L'alibi nero (Black Alibi), pubblicato nel 1942 e da noi apparso una prima volta nei Gialli Mondadori e in seguito varie volte ristampato; su questo testo, il grande Jacques Tourner trasse il suo L'uomo leopardo nel 1943. Ed effettivamente, il racconto da noi esaminato in questa sede, mostra almeno un paio di scene che rimandano immediatamente alla memoria il celeberrimo Il bacio della pantera dello stesso Tourner.
La trama del racconto - che in effetti presenta alcune piccole incongruenze e una soluzione finale piuttosto telefonata e un po' forzata nelle motivazioni dell'assassino - ruota attorno a un leopardo sfuggito dalle mani di un'attrice in cerca di pubblicità, che si mette a uccidere per le vie e i parchi hollywoodiani. Uno degli investigatori incaricati dell'indagine, però, crede che dietro i delitti ci sia ben altro che un semplice leopardo, e che il vero assassino sia un uomo che usa la presenza della belva come alibi per i suoi crimini efferati. Il poliziotto, inizialmente sbeffeggiato dal superiore, si rivelerà avere ovviamente ragione.
Se la soluzione finale, come anticipato, e alcune caratterizzazioni di personaggi sembrano appena sgrossate e saranno sicuramente portate a maggior efficacia nel successivo romanzo, che condivide ben più che lo spunto iniziale di questo racconto, il fascino dello stile di Woolrich si vede già tutto anche in queste poche pagine: due scene in particolare, la sequenza del primo omicidio della bambina nel breve tunnel coperto di ombre e quella del cimitero notturno sono decisamente notevoli e la capacità descrittiva dell'autore si coglie già senza limitazioni di sorta, e come detto richiama magistralmente quello che di lì a pochi anni Tourner ci avrebbe fatto vedere sul grande schermo.
Non sono un grande amante del noir - e per questo motivo Woolrich mi è sempre stato poco più di un nome, senza aver letto quasi nulla di lui - ma devo dire che questo racconto mostra l'indubbia capacità affabulatoria del nostro, con tocchi orrorifici che non sono mai soverchianti, ma si fanno sentire e apprezzare.
Be', questo chiude la nostra disamina di un eccellente rivista pulp mystery-horror. La prossima lettura sarà un altro G-8 and his battle aces (che forse troverò la forza di esaminare anche in questo blog... ma non contateci troppo... letti uno, letti tutti...)
Stando ad alcune fonti consultate in rete, il racconto in questione può essere considerata una sorta di bozza di massima del successivo romanzo L'alibi nero (Black Alibi), pubblicato nel 1942 e da noi apparso una prima volta nei Gialli Mondadori e in seguito varie volte ristampato; su questo testo, il grande Jacques Tourner trasse il suo L'uomo leopardo nel 1943. Ed effettivamente, il racconto da noi esaminato in questa sede, mostra almeno un paio di scene che rimandano immediatamente alla memoria il celeberrimo Il bacio della pantera dello stesso Tourner.
La trama del racconto - che in effetti presenta alcune piccole incongruenze e una soluzione finale piuttosto telefonata e un po' forzata nelle motivazioni dell'assassino - ruota attorno a un leopardo sfuggito dalle mani di un'attrice in cerca di pubblicità, che si mette a uccidere per le vie e i parchi hollywoodiani. Uno degli investigatori incaricati dell'indagine, però, crede che dietro i delitti ci sia ben altro che un semplice leopardo, e che il vero assassino sia un uomo che usa la presenza della belva come alibi per i suoi crimini efferati. Il poliziotto, inizialmente sbeffeggiato dal superiore, si rivelerà avere ovviamente ragione.
Se la soluzione finale, come anticipato, e alcune caratterizzazioni di personaggi sembrano appena sgrossate e saranno sicuramente portate a maggior efficacia nel successivo romanzo, che condivide ben più che lo spunto iniziale di questo racconto, il fascino dello stile di Woolrich si vede già tutto anche in queste poche pagine: due scene in particolare, la sequenza del primo omicidio della bambina nel breve tunnel coperto di ombre e quella del cimitero notturno sono decisamente notevoli e la capacità descrittiva dell'autore si coglie già senza limitazioni di sorta, e come detto richiama magistralmente quello che di lì a pochi anni Tourner ci avrebbe fatto vedere sul grande schermo.
Non sono un grande amante del noir - e per questo motivo Woolrich mi è sempre stato poco più di un nome, senza aver letto quasi nulla di lui - ma devo dire che questo racconto mostra l'indubbia capacità affabulatoria del nostro, con tocchi orrorifici che non sono mai soverchianti, ma si fanno sentire e apprezzare.
Be', questo chiude la nostra disamina di un eccellente rivista pulp mystery-horror. La prossima lettura sarà un altro G-8 and his battle aces (che forse troverò la forza di esaminare anche in questo blog... ma non contateci troppo... letti uno, letti tutti...)
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