Cadaveri galleggianti gonfi come canotti e dalle striature colorate come l'arcobaleno sono il piatto forte del racconto di oggi, sempre dalle pagine di Strange Detective Mysteries del luglio agosto 1939.
L'autore, Giles Norcroft, sembra sostanzialmente sconosciuto e una rapida ricerca su internet non ha portato a sapere altro di lui (se non che ha pubblicato almeno un altro racconto sulla stessa rivista, pochi mesi dopo) e potrebbe essere forse uno pseudonimo di qualche firma più prestigiosa (o almeno più prolifica).
Il racconto, narrato in prima persona da un detective in vacanza nella California messicana, che resta coinvolto in una serie di morti delittuose nella ridente località sul mare, è abbastanza efficace, scritto nel consueto stile dei pulp hard boiled del periodo, senza particolari spunti di pregio, ma senza neanche particolari difetti.
La vicenda ruota appunto attorno ad alcuni cadaveri rinvenuti sulla spiaggia o galleggianti sul mare, gonfi come canotti a causa delle ferite provocate da quello che sembra un mostro marino o una qualche creatura acquatica. Ma il detective subodora subito qualcos'altro e dopo perfino una lotta sottomarina con caschi da immersione che anticipa quanto si sarebbe visto molti decenni dopo nei film stile James Bond, riesce a scoprire che il colpevole di tutto è il fin troppo sospettoso boss della sua ragazza, che gestisce un traffico di droga con il paese centro americano e teme di essere stato scoperto (non era così, ma il racconto in qualche modo doveva partire, giusto?). Colpevoli del delitto sono una miriade di meduse tenute in una grande piscina.
Ritmo discreto, lettura tutto sommato piacevole, ma che non lascia la sensazione di aver letto qualcosa di indimenticabile (ma neppure di aver completamente sprecato il proprio tempo, e quindi è già qualcosa).
Più tardi finiremo in bellezza la lettura del pulp in esame con Cornel Woolrich
domenica 30 giugno 2013
giovedì 27 giugno 2013
Un pulp al giorno: Doctor's Death Murder Ward
Il racconto di oggi, tratto ancora una volta dalle pagine del numero di luglio agosto 1939 di Strange Detective Mysteries, ci riporta a parlare di un autore già visto in passato, Arthur Leo Zagat, scrittore pulp particolarmente attivo nel ventennio Trenta-Quaranta del secolo scorso, da noi singolarmente ben poco noto.
Non lasciatevi sviare dal titolo: non si tratta di un racconto avente a che fare con il celebre Doctor Death - archetipo dello scienziato pazzo, che per un breve periodo ha goduto di un intero pulp a sua disposizione - ma con un modestissimo epigono, non meno letale.
Il protagonista principale è un personaggio che Zagat ha usato più volte nel corso della carriera, un notevole detective privato, Bolton Blair, abilissimo nel suo mestiere ma a quanto pare intenzionato a cessare l'attività ogni volta che risolve un caso. Aiutato dal simpaticissimo assistente/segretario Adalbert Socrates Ninial (che già si tende ad amare solo per il nome) - che apparentemente serve più che altro come motivatore del riottoso investigatore e come auditore delle sue spiegazioni finali una volta risolto il caso, Blair stavolta si imbatte nella strana morte di un vecchio per strada, preannunciata da un lugubre fischio simile a un gemito letale, proveniente in apparenza dal nulla. Il vecchio aveva appena chiesto a Ninial se Blair avesse potuto assisterlo in un caso drammatico: la morte per misteriosa malattia di due giovanni studenti di una scuola privata in Connecticut.
Pungolato dalla sfida lanciatagli via etere dal fantomatico Dottor Morte, Blair accetta il caso e si reca - sotto le mentite spoglie dell'assistente di un noto epidemiologo di Yale - al citato college. In modo decisamente troppo subitaneo (e chiaramente dovuto al limite di caratteri richiesti per il completamento del racconto), la storia finisce, il malvagio Dottor Morte (un povero medico di campagna con il pallino della scienza e una notevole avidità di denaro) viene catturato e Blair può spiegare con non troppa convinzione come abbia risolto l'arcano sia a Ninial che al lettore.
Aldilà di una spiegazione un po' tirata per i capelli e una conclusione quindi piuttosto anticlimatica, il racconto è ben scritto, ben ambientato e dotato di personaggi interessanti, che certamente andremo a ritovare perché ci sono molto piaciuti. Resta un prodotto di buona qualità di una rivista decisamente gradevole, anche se al momento priva di vette elevate (ma ci resta da leggere nientemeno che un Woolrich... speriamo sia all'altezza del nome!)
Non lasciatevi sviare dal titolo: non si tratta di un racconto avente a che fare con il celebre Doctor Death - archetipo dello scienziato pazzo, che per un breve periodo ha goduto di un intero pulp a sua disposizione - ma con un modestissimo epigono, non meno letale.
Il protagonista principale è un personaggio che Zagat ha usato più volte nel corso della carriera, un notevole detective privato, Bolton Blair, abilissimo nel suo mestiere ma a quanto pare intenzionato a cessare l'attività ogni volta che risolve un caso. Aiutato dal simpaticissimo assistente/segretario Adalbert Socrates Ninial (che già si tende ad amare solo per il nome) - che apparentemente serve più che altro come motivatore del riottoso investigatore e come auditore delle sue spiegazioni finali una volta risolto il caso, Blair stavolta si imbatte nella strana morte di un vecchio per strada, preannunciata da un lugubre fischio simile a un gemito letale, proveniente in apparenza dal nulla. Il vecchio aveva appena chiesto a Ninial se Blair avesse potuto assisterlo in un caso drammatico: la morte per misteriosa malattia di due giovanni studenti di una scuola privata in Connecticut.
Pungolato dalla sfida lanciatagli via etere dal fantomatico Dottor Morte, Blair accetta il caso e si reca - sotto le mentite spoglie dell'assistente di un noto epidemiologo di Yale - al citato college. In modo decisamente troppo subitaneo (e chiaramente dovuto al limite di caratteri richiesti per il completamento del racconto), la storia finisce, il malvagio Dottor Morte (un povero medico di campagna con il pallino della scienza e una notevole avidità di denaro) viene catturato e Blair può spiegare con non troppa convinzione come abbia risolto l'arcano sia a Ninial che al lettore.
Aldilà di una spiegazione un po' tirata per i capelli e una conclusione quindi piuttosto anticlimatica, il racconto è ben scritto, ben ambientato e dotato di personaggi interessanti, che certamente andremo a ritovare perché ci sono molto piaciuti. Resta un prodotto di buona qualità di una rivista decisamente gradevole, anche se al momento priva di vette elevate (ma ci resta da leggere nientemeno che un Woolrich... speriamo sia all'altezza del nome!)
martedì 25 giugno 2013
Un pulp al giorno: Suicide Circus
Altro racconto tratto da Strange Detective Mysteries del luglio agosto 1939, questa volta una fosca vicenda di una catena di suicidi che sconvogle un'intera città, firmata da Stewart Sterling, autore particolarmente prolifico nel settoro del giallo con connotati orrorifici per quasi un ventennio.
Lo schema è quello solito: un investigatore privato si trova a salvare un giovane che si sta per buttare sotto a un treno, e scopre che si tratta di un affiliato a una specie di setta segreta, guidata da un bramino, che cerca la purificazione attraverso il suicidio. L'intera città viene travolta da una vera e propria ondata di suicidi, e il nostro investigatore si trova a scoprire l'arcano: si tratta di un complotto per assicurarsi le sostanze di tutti i ricchi del luogo, per diventare multimilionari.
Per quanto scontato nella trama e nello sviluppo - come buona parte della narrativa del genere - il racconto regge discretamente l'età e si caratterizza per un linguaggio brioso, ricco di metafore e di modi di dire, alcuni anche piuttosto astrusi. Si muove, come di consueto, sul limite dello shudder (in questo caso attraverso la descrizione nel finale del carnival di creature deformi che accompagna la mente diabolica dietro il complotto), restandone però sostanzialmente al di fuori.
Altri racconti nei prossimi giorni
Lo schema è quello solito: un investigatore privato si trova a salvare un giovane che si sta per buttare sotto a un treno, e scopre che si tratta di un affiliato a una specie di setta segreta, guidata da un bramino, che cerca la purificazione attraverso il suicidio. L'intera città viene travolta da una vera e propria ondata di suicidi, e il nostro investigatore si trova a scoprire l'arcano: si tratta di un complotto per assicurarsi le sostanze di tutti i ricchi del luogo, per diventare multimilionari.
Per quanto scontato nella trama e nello sviluppo - come buona parte della narrativa del genere - il racconto regge discretamente l'età e si caratterizza per un linguaggio brioso, ricco di metafore e di modi di dire, alcuni anche piuttosto astrusi. Si muove, come di consueto, sul limite dello shudder (in questo caso attraverso la descrizione nel finale del carnival di creature deformi che accompagna la mente diabolica dietro il complotto), restandone però sostanzialmente al di fuori.
Altri racconti nei prossimi giorni
sabato 22 giugno 2013
Un pulp al giorno: Panamint Oil e The Death Club
Ero rimasto corto nella descrizione del contenuto del numero di Dime Detective Magazine del gennaio del 1934 che avevamo esaminato nei giorni scorsi. Così ecco un breve contributo relativo agli ultimi due brevi racconti del fascicolo.
Il primo, scritto dal praticamente sconosciuto Jan Dana (autore di mystery relativamente attivo nel periodo fra le metà degli anni Trenta e i primi anni Quaranta), racconta di un investigatore di uno studio legale a caccia dell'erede di una cospicua fortuna fra le paludi del Sud, costellate di temibili serpenti, dai quali ci si può salvare soltanto cospargendosi dell'olio vegetale del titolo. Inizia come un romanzo espitolare e si sviluppa poi rapidamente verso lo scontato finale a lieto fine, passando per incontri con donne anziane travestite da giovani ragazze e patrigni perversi che non esitano a mettere la figliastra - erede della fortuna paterna - nella sabbia fino al collo e a lasciarla in pasto ai serpenti. Leggibile, nonostante la frenesia di arrivare a un finale. Lo si poteva sviluppare in modo più ampio.
Altrattanto tirato via il racconto finale del numero, scritto da un autore molto attivo nel periodo come George Alden Edson, che narra le vicende di un investigatore privato - tanto per cambiare - che crede di notare un filo rosso che lega alcune morti misteriose di uomini con una ricchissima polizza di assicurazione sulla vita. Scoprirà l'organizzazione che dietro di loro trama per spingerli al suicidio, dopo aver loro assicurato sei mesi di benessere (una specie di contratto faustiano, molto più breve e meno intrigante).
Niente di speciale in ambedue i casi, ma racconti dignitosi che riempiono un numero assolutamente interessante di uno tra i pulp più celebri del periodo
Il primo, scritto dal praticamente sconosciuto Jan Dana (autore di mystery relativamente attivo nel periodo fra le metà degli anni Trenta e i primi anni Quaranta), racconta di un investigatore di uno studio legale a caccia dell'erede di una cospicua fortuna fra le paludi del Sud, costellate di temibili serpenti, dai quali ci si può salvare soltanto cospargendosi dell'olio vegetale del titolo. Inizia come un romanzo espitolare e si sviluppa poi rapidamente verso lo scontato finale a lieto fine, passando per incontri con donne anziane travestite da giovani ragazze e patrigni perversi che non esitano a mettere la figliastra - erede della fortuna paterna - nella sabbia fino al collo e a lasciarla in pasto ai serpenti. Leggibile, nonostante la frenesia di arrivare a un finale. Lo si poteva sviluppare in modo più ampio.
Altrattanto tirato via il racconto finale del numero, scritto da un autore molto attivo nel periodo come George Alden Edson, che narra le vicende di un investigatore privato - tanto per cambiare - che crede di notare un filo rosso che lega alcune morti misteriose di uomini con una ricchissima polizza di assicurazione sulla vita. Scoprirà l'organizzazione che dietro di loro trama per spingerli al suicidio, dopo aver loro assicurato sei mesi di benessere (una specie di contratto faustiano, molto più breve e meno intrigante).
Niente di speciale in ambedue i casi, ma racconti dignitosi che riempiono un numero assolutamente interessante di uno tra i pulp più celebri del periodo
Un pulp al giorno: Murder goes a beggin
Iniziamo l'esame di un nuovo pulp, Strange Detective Mysteries del luglio agosto del 1939, una rivista che ricade marginalmente nel filone degli shudder pulps di cui abbiamo ampiamente parlato in passato (e di cui condivide buona parte della sua squadra di autori), ma che ha ospitato, negli anni successivi anche parecchio materiale dell'ancor giovane Fredric Brown (che, come saprete, ha scritto molto più in campo mystery e giallo che non nella fantascienza, per quanto sia uno dei grandi del genere).
Il racconto d'esordio del numero è subito notevole: scritto da Russell Gray (già incontrato in passato come autore di Terror Tales), Murder goes a beggin è una storia incredibile che mi ha ricordato per molti versi uno dei capolavori misconosciuti del cinema di John Carpenter: Il signore del male. Vi si narra infatti le vicende di una rivolta di tutti i mendicanti di una città americana, che si mettono improvvisamente a delinquere in massa, a rapinare banche, a rapire giovani donne, a massacrare adolescenti, per uno scopo apparentemente misterioso, guidati da quello che si scoprirà in seguito essere un ex poliziotto.
Eroe della vicenda è un altro ex-poliziotto, diventato investigatore privato senza scrupoli e dal grilletto facile dopo l'assassinio della moglie, Ethan Burr, che una volta tanto si dimentica dell'elevato onorario richiesto per i suoi servigi e difende una giovane ragazza, scampata al massacro dei familiari.
Aldilà delle banalità sconcertanti della trama e alla mediocrità di alcuni passaggi, il racconto possiede un suo fascino perverso e la lotta senza censure e false ipocrisie contro la "schiuma della Terra" (come l'autore definisce i mendicanti e il loro "osceno" - ancora parole sue - modo di vivere) cattura inevitabilmente il lettore.
Scritto con uno stile descrittivo pericolosamente in bilico fra il mystery avventuroso e lo shudder pulp vero e proprio (del quale mancano fortunatamente gli eccessi più deprecabili), il racconto è in fin dei conti un piccolo gioiellino di uno degli anni più prolifici della storia della narrativa pulp (scelto, non a caso, da Asimov per inaugurare l'Età d'oro della Fantascienza - ma fu una grande annata anche per altri generi... prima o poi scriverò un pezzo su quell'anno epocale per la storia del mondo - per ben altre ragioni, ovviamente), e un ottimo viatico per affrontare la lettura di una rivista che promette di essere non meno affascinante delle ultime effettuate.
Restate in attesa
Il racconto d'esordio del numero è subito notevole: scritto da Russell Gray (già incontrato in passato come autore di Terror Tales), Murder goes a beggin è una storia incredibile che mi ha ricordato per molti versi uno dei capolavori misconosciuti del cinema di John Carpenter: Il signore del male. Vi si narra infatti le vicende di una rivolta di tutti i mendicanti di una città americana, che si mettono improvvisamente a delinquere in massa, a rapinare banche, a rapire giovani donne, a massacrare adolescenti, per uno scopo apparentemente misterioso, guidati da quello che si scoprirà in seguito essere un ex poliziotto.
Eroe della vicenda è un altro ex-poliziotto, diventato investigatore privato senza scrupoli e dal grilletto facile dopo l'assassinio della moglie, Ethan Burr, che una volta tanto si dimentica dell'elevato onorario richiesto per i suoi servigi e difende una giovane ragazza, scampata al massacro dei familiari.
Aldilà delle banalità sconcertanti della trama e alla mediocrità di alcuni passaggi, il racconto possiede un suo fascino perverso e la lotta senza censure e false ipocrisie contro la "schiuma della Terra" (come l'autore definisce i mendicanti e il loro "osceno" - ancora parole sue - modo di vivere) cattura inevitabilmente il lettore.
Scritto con uno stile descrittivo pericolosamente in bilico fra il mystery avventuroso e lo shudder pulp vero e proprio (del quale mancano fortunatamente gli eccessi più deprecabili), il racconto è in fin dei conti un piccolo gioiellino di uno degli anni più prolifici della storia della narrativa pulp (scelto, non a caso, da Asimov per inaugurare l'Età d'oro della Fantascienza - ma fu una grande annata anche per altri generi... prima o poi scriverò un pezzo su quell'anno epocale per la storia del mondo - per ben altre ragioni, ovviamente), e un ottimo viatico per affrontare la lettura di una rivista che promette di essere non meno affascinante delle ultime effettuate.
Restate in attesa
martedì 18 giugno 2013
Un pulp al giorno: The Scarlet Casket e The Zodiac Clue
Oggi esageriamo e raddoppiamo la rubrica, con ben due racconti tratti dalla medesima rivista.
Le pagine di Dime Detective Magazine 37, del gennaio del 1934, ci regalano oggi un giallo targato John Lawrence (autore abbastanza attivo fra gli anni trenta e quaranta del secolo scorso, su parecchi mystery pulps), che ci porta all'interno di un intrigo riguardante dei certificati azionari nell'America della Crisi del 1929, fra direttori di banca fraudolenti e impiegati statali corrotti, in compagnia di un intraprendente investigatore privato e un sergente di polizia emulo dell'ispettore Lestrade.
Ne esce una lettura discreta, forse modesta dal punto di vista dello sviluppo giallo, ma carica dei connotati caratterizzanti il genere, tale da farne un esempio comunque piacevole.
Seconda lettura dallo stesso fascicolo è poi The zodiac clue, scritto da Leslie T.White (poliedrico autore canadese, che ha scritto su numerose riviste pulp, dalle classiche Argosy e Adventure, fino a tutte le riviste mystery degli anni Trenta), scorrevole vicenda mystery su politici e poliziotti corrotti nella gestione del racket del gioco d'azzardo su di un panfilo appena fuori dalla costa, scoperta da un inarrestabile reporter d'assalto. Vicenda piuttosto modesta nello sviluppo e nella stesura, con pochi di trama piuttosto ampi, ma comunque godibile per la mezz'ora scarsa che serve a portarla a compimento.
Altre brevi note nei giorni a seguire
Le pagine di Dime Detective Magazine 37, del gennaio del 1934, ci regalano oggi un giallo targato John Lawrence (autore abbastanza attivo fra gli anni trenta e quaranta del secolo scorso, su parecchi mystery pulps), che ci porta all'interno di un intrigo riguardante dei certificati azionari nell'America della Crisi del 1929, fra direttori di banca fraudolenti e impiegati statali corrotti, in compagnia di un intraprendente investigatore privato e un sergente di polizia emulo dell'ispettore Lestrade.
Ne esce una lettura discreta, forse modesta dal punto di vista dello sviluppo giallo, ma carica dei connotati caratterizzanti il genere, tale da farne un esempio comunque piacevole.
Seconda lettura dallo stesso fascicolo è poi The zodiac clue, scritto da Leslie T.White (poliedrico autore canadese, che ha scritto su numerose riviste pulp, dalle classiche Argosy e Adventure, fino a tutte le riviste mystery degli anni Trenta), scorrevole vicenda mystery su politici e poliziotti corrotti nella gestione del racket del gioco d'azzardo su di un panfilo appena fuori dalla costa, scoperta da un inarrestabile reporter d'assalto. Vicenda piuttosto modesta nello sviluppo e nella stesura, con pochi di trama piuttosto ampi, ma comunque godibile per la mezz'ora scarsa che serve a portarla a compimento.
Altre brevi note nei giorni a seguire
lunedì 17 giugno 2013
Nuove visioni
Un post svogliato oggi su un paio di serie televisive che sono giunte tardi - rispetto alla loro uscita - sotto l'occhio critico del sottoscritto.
La prima è House of Cards, breve serie di forte impatto onomastico (Fincher alla regia e Spacey come gigionesco interprete principale) sulla politica che circonda la Casa Bianca, osservata dal punto di vista di un potente senatore che si vede sfilare da sotto il sedere lo scranno di segretario di stato (Spacey, appunto), che intende farla pagare agli autori del misfatto, nuovo presidente ed entourage, e per far questo sceglie una giovane giornalista rampante, per ora solo autrice di un blog, ma che potrebbe diventare la voce della sua congiura sottopelle. Indubbiamente ben fatto e ben guidato da Fincher (con alcune delle sue tipiche scelte un po' fuori di testa, come Spacey che ogni tanto si rivolge in camera, come in un a solo teatrale, venendo meno al senso della divisione fra spettatore e prodotto mostrato sullo schermo), è un telefilm serio, poco adatto - se non in minime dosi - alla mia chiusura di giornata. Forse ne vedrò qualche altra puntata, ma non ci contate troppo.
Migliore e leggermente più nelle mie corde il secondo episodio pilota analizzato oggi, Smash, serie televisiva incentrata sulla messa in scena di un musical su Marylin Monroe, con tra i protagonisti la Grace di Will e Grace, che ricorda in certo modo Glee, di cui ho parlato tempo fa, e che continua a piacermi di più (per il maggior numero di canzoni, per l'ambiente più giovanile e giovanilista, per il fatto che non abbia solo pezzi da musical - genere che non amo poi tanto). Scorre via bene, promette schemi assolutamente probabili e rilassanti, e sarà per questo spiluccato di tanto in tanto, senza troppo entusiasmo, quando non avrò qualcosa di meglio.
La prima è House of Cards, breve serie di forte impatto onomastico (Fincher alla regia e Spacey come gigionesco interprete principale) sulla politica che circonda la Casa Bianca, osservata dal punto di vista di un potente senatore che si vede sfilare da sotto il sedere lo scranno di segretario di stato (Spacey, appunto), che intende farla pagare agli autori del misfatto, nuovo presidente ed entourage, e per far questo sceglie una giovane giornalista rampante, per ora solo autrice di un blog, ma che potrebbe diventare la voce della sua congiura sottopelle. Indubbiamente ben fatto e ben guidato da Fincher (con alcune delle sue tipiche scelte un po' fuori di testa, come Spacey che ogni tanto si rivolge in camera, come in un a solo teatrale, venendo meno al senso della divisione fra spettatore e prodotto mostrato sullo schermo), è un telefilm serio, poco adatto - se non in minime dosi - alla mia chiusura di giornata. Forse ne vedrò qualche altra puntata, ma non ci contate troppo.
Migliore e leggermente più nelle mie corde il secondo episodio pilota analizzato oggi, Smash, serie televisiva incentrata sulla messa in scena di un musical su Marylin Monroe, con tra i protagonisti la Grace di Will e Grace, che ricorda in certo modo Glee, di cui ho parlato tempo fa, e che continua a piacermi di più (per il maggior numero di canzoni, per l'ambiente più giovanile e giovanilista, per il fatto che non abbia solo pezzi da musical - genere che non amo poi tanto). Scorre via bene, promette schemi assolutamente probabili e rilassanti, e sarà per questo spiluccato di tanto in tanto, senza troppo entusiasmo, quando non avrò qualcosa di meglio.
venerdì 14 giugno 2013
Un pulp al giorno: Time for Murder
Iniziamo con oggi l'analisi di un nuovo pulp: Dime Detective del gennaio 1934. La prima storia reca la firma di uno dei grandi del "mystery" del periodo, poi celeberrimo per Perry Mason: Erle Stanley Gardner.
Il racconto in questione, pur pieno di difetti dal punto di vista di sviluppo di trama e improbabilità degli eventi, è delizioso e mostra tutta l'abilità affabulatoria di Gardner, capace di tenere incollato il lettore alle pagine, pur mostrando i suddetti difetti: è l'improbabile storia di un giovane riccone, annoiato dalla vita, che sfrutta il tentato furto nella sua villa per convincere il ladro a prenderlo con lui come assistente, per dare una scossa alla noia della sua esistenza di giovin signore viziato. I due si trovano così coinvolti nel delitto di una giovane di ricca famiglia, assassinata seminuda sul letto, alla presenza di una simpatica scimmietta. Nascostisi in una albergo dove si annidano i criminali in fuga dalla legge, i due si trovano parte di uno strano complotto, che vedrà sviluppi inattesi (fino al consueto lieto fine).
Ben scritto e caratterizzato, il racconto soffre di una trama un po' improbabile e raffazzonata, ma porta in sé il gusto della narrativa di genere di quegli anni, senza alcun eccesso di violenza o sadismo abbastanza tipico di parte dei pulp del periodo. Da non perdere
Il racconto in questione, pur pieno di difetti dal punto di vista di sviluppo di trama e improbabilità degli eventi, è delizioso e mostra tutta l'abilità affabulatoria di Gardner, capace di tenere incollato il lettore alle pagine, pur mostrando i suddetti difetti: è l'improbabile storia di un giovane riccone, annoiato dalla vita, che sfrutta il tentato furto nella sua villa per convincere il ladro a prenderlo con lui come assistente, per dare una scossa alla noia della sua esistenza di giovin signore viziato. I due si trovano così coinvolti nel delitto di una giovane di ricca famiglia, assassinata seminuda sul letto, alla presenza di una simpatica scimmietta. Nascostisi in una albergo dove si annidano i criminali in fuga dalla legge, i due si trovano parte di uno strano complotto, che vedrà sviluppi inattesi (fino al consueto lieto fine).
Ben scritto e caratterizzato, il racconto soffre di una trama un po' improbabile e raffazzonata, ma porta in sé il gusto della narrativa di genere di quegli anni, senza alcun eccesso di violenza o sadismo abbastanza tipico di parte dei pulp del periodo. Da non perdere
mercoledì 5 giugno 2013
La simpatica coppia dei "signori omicidio"
Vi siete mai chiesti chi ripulisce la scena del crimine dopo che sono passati i CSI di turno? Be', dei buontemponi australiani lo hanno fatto e la serie che ne è uscita fuori, sembra davvero interessante.
I protagonisti sono una coppia di marito e moglie vicini alla mezz'età, proprietari di un'impresa di pulizie specializzata nel ripulire le scene del crimine, evenienza che li porta a improvvisarsi investigatori. Sicuramente geniali e spiritosi, i due coniugi - adiuvati da una nipotina poco più che adolescente irresistibilmente scazzata - si trovano così coinvolti, nel caso presentato nel pilot, a trovare il colpevole dell'omicidio di una specie di eroe dei media, inizialmente preso per uno dei camerieri, trovato in camera con in mano l'arma del delitto. Ci riusciranno al termine di un'indagine a metà strada fra il signor Monk e Miss Marple.
Gustoso e ricco di spunti divertenti, con due protagonisti perfetti per il ruolo di investigatore leggero, Mr & Mrs Murder (questo il nome del telefilm) è una piacevolissima sorpresa in una panorama televisivo che a mio avviso si sta appiattendo sull'inseguimento del sempre più efferato e sempre più diabolico, e sul sempre meno fantasioso e innovativo. Un buon modo quindi, per godersi qualche altro mystery che non sia infarcito di sesso, violenza, splatter o, peggio, introspezioni psichiatriche degne di miglior causa.
Non vedo l'ora di proseguire la serie, non appena riuscirò a procurarmi altri episodi...
I protagonisti sono una coppia di marito e moglie vicini alla mezz'età, proprietari di un'impresa di pulizie specializzata nel ripulire le scene del crimine, evenienza che li porta a improvvisarsi investigatori. Sicuramente geniali e spiritosi, i due coniugi - adiuvati da una nipotina poco più che adolescente irresistibilmente scazzata - si trovano così coinvolti, nel caso presentato nel pilot, a trovare il colpevole dell'omicidio di una specie di eroe dei media, inizialmente preso per uno dei camerieri, trovato in camera con in mano l'arma del delitto. Ci riusciranno al termine di un'indagine a metà strada fra il signor Monk e Miss Marple.
Gustoso e ricco di spunti divertenti, con due protagonisti perfetti per il ruolo di investigatore leggero, Mr & Mrs Murder (questo il nome del telefilm) è una piacevolissima sorpresa in una panorama televisivo che a mio avviso si sta appiattendo sull'inseguimento del sempre più efferato e sempre più diabolico, e sul sempre meno fantasioso e innovativo. Un buon modo quindi, per godersi qualche altro mystery che non sia infarcito di sesso, violenza, splatter o, peggio, introspezioni psichiatriche degne di miglior causa.
Non vedo l'ora di proseguire la serie, non appena riuscirò a procurarmi altri episodi...
La "Caduta" di Gillian Anderson
Se avete voglia di dormire in fretta e casomai non poco irritati, niente di meglio che il primo episodio di una strana miniserie britannica (credo, visto che è ambientata a Belfast), che vede come principale motivo di interesse il ritorno di una delle grandi figure televisive degli anni Novanta, Gillian Anderson, l'agente Dana Scully della serie X-Files, indimenticabile e indimenticata dai fan.
Bene. Era meglio se non tornava... Sfruttata malissimo (almeno nella prima puntata), come agente della polizia londinese inviata a Belfast per indagare su un possibile serial killer di giovani donne (non riconosciuto come tale dalle autorità locali, i cui componenti sembrano più una sorta di accozzaglia da cartone animato che plausibili poliziotti reali), la Anderson passa da una scena silenziosa o quasi, all'assolutamente identica successiva, in una monotonia di narrazione e di immagini da far rimpiangere i più noiosi film scandinavi (al cui modo di fare televisione e affrontare tematiche complesse e molto pese, come la violenza sulle donne, atavico lascito di una civiltà barbaramente maschilista come la nostra, e probabilmente anche la pedofilia - il serial killer protagonista sembra possedere anche questa spregevole devianza, per adesso ancora in nuce - ma non ho assolutamente la voglia di assistere a come proseguirà la faccenda). Certo, non necessariamente ogni telefilm sugli assassini seriali deve svolgersi in un susseguirsi di colpi di scena e sequenze mozzafiato, e neppure necessariamente riempire lo schermo di fiotti di sangue ed esposizioni di organi interni, ma non devo nemmeno ridursi a questo difficilmente palatabile cerebralismo introspettivo, da terapia di gruppo per deviati sessuali. La penosa lentezza con cui la vicenda stancamente si mette in moto vede gli spettatori annoiati, se non del tutto disgustati e, preferibilmente, addormentati, prima della conclusione di metà del pilot.
La Anderson, a sua volta annoiata (e forse per questo spesso già in pigiama), si muove come una sonnambula in uno scenario che non le si addice, pensando con rimpianto ai fasti di una ventina di anni prima.
Da distruggere prima di restarne infettati.
Bene. Era meglio se non tornava... Sfruttata malissimo (almeno nella prima puntata), come agente della polizia londinese inviata a Belfast per indagare su un possibile serial killer di giovani donne (non riconosciuto come tale dalle autorità locali, i cui componenti sembrano più una sorta di accozzaglia da cartone animato che plausibili poliziotti reali), la Anderson passa da una scena silenziosa o quasi, all'assolutamente identica successiva, in una monotonia di narrazione e di immagini da far rimpiangere i più noiosi film scandinavi (al cui modo di fare televisione e affrontare tematiche complesse e molto pese, come la violenza sulle donne, atavico lascito di una civiltà barbaramente maschilista come la nostra, e probabilmente anche la pedofilia - il serial killer protagonista sembra possedere anche questa spregevole devianza, per adesso ancora in nuce - ma non ho assolutamente la voglia di assistere a come proseguirà la faccenda). Certo, non necessariamente ogni telefilm sugli assassini seriali deve svolgersi in un susseguirsi di colpi di scena e sequenze mozzafiato, e neppure necessariamente riempire lo schermo di fiotti di sangue ed esposizioni di organi interni, ma non devo nemmeno ridursi a questo difficilmente palatabile cerebralismo introspettivo, da terapia di gruppo per deviati sessuali. La penosa lentezza con cui la vicenda stancamente si mette in moto vede gli spettatori annoiati, se non del tutto disgustati e, preferibilmente, addormentati, prima della conclusione di metà del pilot.
La Anderson, a sua volta annoiata (e forse per questo spesso già in pigiama), si muove come una sonnambula in uno scenario che non le si addice, pensando con rimpianto ai fasti di una ventina di anni prima.
Da distruggere prima di restarne infettati.
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