sabato 23 febbraio 2013

Un pulp al giorno: It's dark in my Grave

No, non parleremo del capitano Schettino e delle sue celebri scuse la notte della tragedia della Concordia, ma di un inquietante e very disturbing racconto pulp, tanto breve quanto capace di rimescolarti lo stomaco con una serie di immagini (e di pensieri) sgradevoli nel volgere delle sue poche paginette.
Scritto dal praticamente sconosciuto nel nostro paese William Edmund Barrett (in realtà autore di oltre una ventina di romanzi, credo di genere mainstream, tre dei quali diventati perfino film, con attori del calibro di Bogart e Poitier) e apparso sul numero di Marzo del 1936 dell'ormai consueto Terror Tales.
E' la storia di quello che accade a un suicida dopo la morte, narrata in prima persona dallo stesso suicida. Be', l'autore deve essere un fervente cattolico, che non ama affatto i suicidi, e quello che accade loro è peggio dell'inferno dantesco, non per la ferocia della punizione, ma proprio per l'impossibilità di staccarsi, come le altre anime, dal contatto con il mondo che hanno rifiutato con la scelta di darsi volontariamente la morte. Dopo aver accettato la propria dipartita con fare agnostico, il defunto suicida attende con raziocinio quella che immagina essere la morte, ovvero, la mancanza di tutto, niente Dio, niente inferno, solo la fine. Non è così: prima una serie di strane, oscene creature, banchettano sul suo corpo, che la mente raziocinante sa essere solo un involucro vuoto, oramai, della cui distruzione dovrebbe fregarsene, ma invece non è così, e il morto prova un crescente disagio, l'impossibilità di slegarsi da quel luogo, la claustrofobia della tomba più e più profanata da orrende creature. Quando alla fine l'anima del suicida riesce a uscire dalla tomba, si trova circondata da innumerevoli altri suoi simili, tutti i morti suicidi che costituiscono una sorta di comunità di paria, esclusa dalla luce divina e impossibilitata a lasciare quel corpo che tanto hanno aborrito fino a privarlo della vita. Con l'angoscia a divorare quella che avrebbe dovuta essere ragione pura, il suicida si accorge di non essere ancora morto, perché qualcuno sta provando a salvarlo, dicendo che sarà dura che ce la faccia, perché per vivere adesso serve una forte volontà, che di solito i suicidi non hanno. Ma ora il tentato suicida grida con flebile voce "I want to live!".
E' una lettura che non ci si aspetta in un pulp, perché è decisamente tosta, oltremodo inquietante e altrettanto sgradevole (e molti dei miei lettori capiranno il perché), ma il racconto prende, avvince, ti tratta come l'anima del protagonista del racconto e non ti lascia sfuggire dalle sue pagine. Mai più ristampato (e ci credo!) e inedito in Italia, è una storia comunque da provare a leggere, per meditarci sopra.
La prossima volta, siate certi, proporremo un pulp meno sconvolgente.

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